Anno IX numero 11 - novembre 2000
RACCONTO
Fumo
di Dario Curatolo
È mattina.
La luce entra a strisce nella stanza, strizzo gli occhi per verificare lora. La mia
bocca è ancora impastata dal fumo dellultima sigaretta, poche ore fa.
Sorpasso il disgusto di questo sapore e accendo una Camel, dirigendomi verso il bagno,
dove fisso per un poco la mia faccia.
È mattina, bisogna ricominciare.
La giacca, cerco la giacca e finalmente la trovo, la indosso, mi specchio unultima
volta, i capelli non riescono ad abbassarsi, ho dormito poco, con la testa appoggiata alla
spalliera e hanno preso questa strana piega, va bene così, mi dico. Vado al bar. Tutte le
mattine vado al bar, tutte le mattine il barista mi serve il caffè.
Laria è fresca, le signore si recano al mercato, anche i pensionati però.
Laria è fresca e stona nei miei polmoni e così è un tossire ogni dieci passi.
Dopo il caffè andrà meglio, mi assicuro.
Qui vicino cè un mercato, e nel mercato girano le mamme e le mogli, qualche padre
con in braccio il figlio che inconsapevole si guarda intorno, guarda il turbinio di gente
tra carciofi e lattuga. A volte le cose vanno così, un tanto al chilo.
Il tabaccaio fa parte della tappa obbligata, non parlo neanche che mi porge il pacchetto
di Camel, tiro fuori dai pantaloni banconote stropicciate, non me ne sono rimaste molte e
dovrò chiedere un altro prestito. Velocemente passo in rassegna i creditori, quelli
vecchi e i possibili nuovi. Mi basteranno per oggi, quindi penso ad altro.
"Buongiorno"
Giorno, rispondo solo per cortesia e mezza parola per questo va già
bene.
Mi siedo, il tavolino è circolare, grande per una persona e piccolo per due, penso.
Mi guardo riflesso sulla vetrina delle caramelle, questi capelli sono davvero arruffati e
il mio aspetto non è dei migliori, faccetta da battuto, è giusto, sono caduto e adesso
guardo dal basso. Sono caduto, dico, non inciampato. Io gli ostacoli li cerco.
Tiro fuori
il pacchetto vergine accoppiato a un vecchio accendisigari Ronson, li poggio sul tavolino
mentre giro il caffè per miscelarlo insieme a due cucchiaini di zucchero.
Questo bar ha grandi vetrate, quasi tutti i bar hanno grandi vetrate, forse per questo mi
piacciono, si vede ciò che accade fuori, la gente passa, ognuno col suo fardello di
tristezza e gioia, non che me ne importi molto per il vero ma è mattina e non mi costa
niente dedicare un pensiero anche a loro.
È difficile essere sereni in una grande città, credo.
Non sono mai stato sereno, prima perché cercavo qualcosa, ora perché lho persa. È
la curiosità mi dico, questa stupida curiosità per le cose o forse è altro, ci penserò
e mi appunto su un taccuino giallo alcune note, con la matita dal tappo rosso che serve
anche da tempera mineè la mia Caran DAche e non mi piace prestarla.
Dovrei lavorare un poco, ma mi attardo ancora nel bar, cè una coppia seduta al
tavolino di fronte al mio.
Lei è di spalle.
Il compagno si dirige verso il bancone prende la consumazione e la porta al tavolo. Si
dividono una brioche.
Quando si gira, per cambiare posto infastidita dalla luce che entra dalla grande vetrata,
mi tolgo gli occhiali, che mi proteggevano dalla, per me, eccessiva luminosità, e, nel
chiarore appannato del repentino gesto, mi sembra di riconoscere un sorriso. Anchio
ebbi un sorriso, così luminoso da confondere la vista, e non cera nessuna vetrata,
anzi, la luce fosca del mio studio.
Nei bar cè tanta gente, diversa per modi e forma. Lho detto, mi piacciono i
bar.
Brett, così lha chiamata luomo che è con lei.
Parto domani, mi disse, intendeva che
avrebbe passato le vacanze estive col marito in barca.
Va bene, è lunica cosa che ricordo, risposi insieme ad "anche
tu" al suo "mi mancherai".
A volte le cose vanno così, un tanto a partenza. E
ce ne furono.
Le briciole della brioche ora sono tutte sedute sulle cosce di lei, che le scrolla via con
un gesto bambino, come sanno fare con molte altre cose. Dopo sorride, luomo la
guarda sospettandosi superiore, in realtà anche le briciole lhanno perdonata dopo
quel sorriso.
A volte le cose vanno così, un tanto a sorriso.
Mi hai pensato? mi chiese, qui sotto il
mio studio, andando al solito bar, ritornata dalle sue vacanze.
Sì, tanto, rispondo, non trascurando di sembrare gentile.
Anchio
Io cammino con le mani in tasca, lei aggancia il mio braccio e poggia la testa sulla mia
spalla.
Sorride ed è già perdonata, certo di niente, perché niente cera da perdonare.
Mi costruisco domande e risposte e tiro la corda.
Prima o poi si rompe. Si sa.
Il barista ha la faccia cortese di chi è abituato a mandar giù il malumore degli altri.
Io non sono ancora abituato a mandare giù il mio. Problemi di mestiere credo.
Nel prendere il pacchetto di sigarette mi cade il Ronson, con tutto il suo rumore
metallico, Brett si gira e guarda, io francamente gli guardo le gambe, strane, che stanno
bene su quel bacino. Si intravede il disegno dellanca. Potrei innamorarmi di lei,
sono ben disposto. Lui gli accende una sigaretta, lei sorride, parlano di lavoro immagino,
ma in realtà lei non parla con lui, e forse lo sa. Vorrei che si alzasse e venisse qui a
baciarmi.
Forse lo vorrebbe anche lei ma non lo farà.
Forse lo avrebbe voluto anche lei ma non è qui.
Tiro giù lultimo sorso di caffè.
Nel pilastro che divide il bancone cè il cartello rosso e bianco che vieta di
fumare.
Il Ronson fa tre scatti, poi la fiamma esce, tiro la prima boccata e guardo gli occhi di
lei.
Non dovresti fumare tanto, adesso ti prendo il
pacchetto così dovrai chiederle a me. Non più di un pacchetto al giorno, siamo
daccordo?
Questo lo dice aggrottando le sopracciglia, fingendo di essere arrabbiata, poi alza la
testa, socchiude gli occhi, col volto a smorfia di musetto, oscilla il naso a sfiorare il
mio.
La bacio. Mi bacia.
Buongiorno, mi dice con la voce volutamente infantile. Mi ruba le sigarette
e corre via.
Non faccio opposizione quando prende il pacchetto, ne comprerò uno di scorta, gli piaceva
fare la mamma e a volte è delizioso sentirsi accuditi.
Il fumo sale denso quando da un po non si tira
una boccata. Mi ero solo bloccato un momento. Nei ricordi. Mi accorgo che lho
fissata in questa breve assenza. Penserà che la stia corteggiando e forse è vero. Per il
motivo contrario però.
Essere precisi e sicuri è difficile in questa confusione. Io ne ho molta e quindi tiro
ciò che capita, e perdo sempre di mio. È come le carte, è difficile non perdere quando
si va sempre a vedere, anche con una coppia di sette. È stupidità mi dico, questa
orgogliosa inutile curiosità per le cose, e mi appunto anche questa sul taccuino giallo.
Brett apre la borsa, gira un po dentro con la mano, da queste borse da cui le donne
possono tirare fuori anche una camera da letto con relativo sofà ne riesce con un
rossetto.
A volte succede anche a un uomo di andare in giro con la bocca segnata dal rossetto. A
volte anche le camicie. Ho imparato che le matite reggono meglio sulla bocca, così mi
pare. Non so sulle camicie.
Fumo e bevo troppo ma mi riesce bene. Anche altre cose, in verità, mi riescono bene, mi
dicono. Mi dicono gli altri intendo. Già. Mai sentito quello che mi dicono, penso. Mai
sentito quello che mi diceva lei.
Guardavo le sue labbra muoversi più che ascoltare ciò che emettevano.
Ho sbagliato e questo si sa.
Non sono affidabile.
Sono andato via e ritornato più di una volta, costretto dal mio pensiero vagante, ormai
lacero, incapace di essere elastico e comprensivo.
Non mi ha mai chiuso la porta, ammetto.
Mi voleva bene credo. Forse ancora. Sapeva della mia inaffidabilità e cercò un possibile
rimedio.
Un possibile rimedio per me e per lei.
Cercò di salvarsi e forse ora lo è.
Tu sei pazzo e non farai impazzire anche me,
mi disse.
Già. Io do risposte diverse nei giorni pari.
Forse non è più tempo di domande, rifletto, forse è ora di cominciare a dare un
po di risposte.
Domande difficili le mie. Risposte incredibili.
La storia è delle immagini e ne circolano in questa mente affollata. Le parole a volte
fanno male, anche di più. Hanno quel non so che di educativo. Parole ne sono circolate,
parole disegnate, scritte, daria. A volte leggere a volte pesanti, anche goffe,
qualche semplice bugia, parole camuffate.
Dopo il tramonto dei miei sogni avrei voluto serenità. Venne una nuova tormenta. Non sono
capace di stare in qualche posto caldo e riparato. Non si può credere nel destino quando
a petto nudo si va incontro al vento del Nord. Minimo un raffreddore. Tempi da doppia
Sambuca, penso.
A volte le cose vanno così, si dorme poco, male e solo ubriachi. Mi dispiace vomitare. A
volte capita.
Mi vide anche sdraiato sul letto, incosciente e balbuziente frasi insensate. Meglio, mi
mise a letto. Non so come.
Ricordo solo il suo sorriso, quello delle mamme, il loro figliolo è un po maldestro
ma va bene così, loro prepareranno una tisana calda e la mattina tutto passerà. Basta
baciare la ferita, ti dicono. A me va bene così. La ferita non guarisce ma è tanto bello
crederci.
Io guardo le cose con curiosità. Lho già detto. Dico difficilmente bugie. Allora
mi dicono che sono un po stronzo, strano quando va bene. Sono solo onesto, si
potrebbe ribattere. Però so che non è vero. Faccio solo ciò che mi rimane più facile.
Già. Non sono ambizioso e non mi piacciono i premi. Anzi. Non mi piace dimostrare. Roba
da rappresentanti.
Su tutto. Alza la bandiera e corri. Facile fare gli eroi di giorno, qualcuno scrisse.
Vero, penso.
La mattinata corre via. Guardo i fondi del caffè e mi stupisco di come qualcuno possa
vederci il futuro, minuscoli granelli e un poco dacqua. Illuminista. Preferisco non
vedere il mio.
"Il bar è aperto" è una frase che
ricorreva. Prendevamo spesso il caffè insieme, si chiacchierava, ci si baciava, a volte
era un pretesto. Non mi piace il caffè, lidea di prenderlo mi piace,
diceva, forse dice ancora, certo a qualcun altro.
Mi piacciono le idee, mi piace anche il caffè, con o
senza idea dietro. Lo prendo da solo o in compagnia.
Non ho paura di stare solo, di giorno.
È difficile credere che possa esistere qualcosa di diverso. Poi le cose vanno così,
esistono nella loro sensibile apparenza. Esistono le stagioni e a volte fa più freddo a
volte meno, esistono gli uomini le donne, le auto, i soldi, i parenti e gli amici. Forse.
Mi dico e non scherzo. Forse.
Ora vado di traverso e perdo il filo. Faccio così spesso. Anche con lei. Si parlava di
qualcosa e poi divago e arrivo a conclusioni e lancio proclami e
Non ti seguo
più! Certo non mi seguiva più, a volte neanche io mi seguo troppo. Difficili le
conclusioni. Il mio è tutto un discorso senza conclusioni, parole lanciate allaria.
Sono un esteta, io. Lei è bella con i suoi occhi chiari e il suo sorriso, laria
bambina e la volontà di sorprendere.
Lei è quello che io racconto negli occhi di chi non lha conosciuta. Dellaltro
che può essere non so cosa farmene. Tiro la corda, tutti giù per terra. Io con voi. E mi
faccio ogni volta più male.
Ragionevole, questo sì lo era. Questo è lecito, questo no. Lo sai che non lo
posso fare, me lo chiedi solo per questo.
Le mamme devono educare. Già. Ripenso a ciò che è lontano, altre mamme tutte nella cura
di un bambino. Ho avuto molte mamme. Ora hanno tutte probabilmente un marito da
conservare, attente a non dispiacerlo troppo. I mariti sono bravi lavoratori, onesti e
generosi. Forse avranno anche veri figli. Io bevo e fumo troppo ma mi piace così. Non
sono neanche tanto più giovane. Questo mi piace meno.
Voglio avere una famiglia, dei figli.
Oplà, volevo una frase più sicura. No di certo. Volevo solo poggiare la mia testa sul
tuo ventre. Anomalie.
In fondo non era così ragionevole, non sopportava
troppo questa vita di regolare scalata. Scoprì forse per caso che la cima non è sempre
in alto, a volte bisogna scavare. Era anomala, e del suo circuito di signori "andiamo
di qua sono stato di là" sentiva a volte la banalità. A volte la nausea. E
allora scappava. È bambina anche lei. Noi scappiamo dopo aver combinato qualche
pasticcio. Lo sappiamo che è un pasticcio ma è più forte di noi, si tira il sasso, si
rompe la vetrata e si scappa via, e si ride con la paura che qualcuno ci scopri ma neanche
tanto. La terra è rotonda, la terra è piatta. Va bene così, così che ci si guarda e si
capisce che qualcosa non va. Così ognuno con le sue cose così diverse per forma e
colore, così uguali quando la notte è vicina. Pensieri. Uno per ciascuno. Anche per te.
Parigi è meravigliosa, vorrei che tu fossi
qui.
Già, sarebbe tutto più facile. Vede, sente
lodore della bellezza. Ma non glielo hanno insegnato e allora segue le tracce, a
volte si perde, a volte si stanca. Duro lavoro per una Lady, penso. Forse ci vuole altro.
"Vai di qua, sei stata là?" Nessuna cattiveria, solo un poco di malinconia.
Passa, si sa. Complesso di Edipo.
Non tutti possono passare le giornate in un bar. Neanche lei. Neanche lui. E allora si
alza, vicino il braccio di lui che finge di sollevarla, senza forza è solo un
invito mentre lei sorride e con preparata disattenzione si guarda intorno, guarda
quello che resta, guarda me ma non vuole guardarmi più del barista che saluta per nome,
la porta vetrata è già aperta, non posso apprezzare quindi lulteriore gesto di
cortesia del suo accompagnatore. Gira langolo e io la guardo ancora dalla grande
vetrata, anche lei, un attimo che non è un attimo, un po più lungo, anche lui con
un espressione meno cortese "cazzo vuoi", mi sembra. Ha ragione ma io non
voglio niente, e poi tanto sta passeggiando con te adessocazzo vuoi tu.
Solo che non potei pensare che il frutto della mia pazzia fosse miseramente naufragato in
un di nuovo nulla.
Scomodo testimone.
Ci si incontrò di nuovo. Fu dopo un viaggio. Già un altro ritorno. Si supponeva. Già,
io lo sapevo e non feci nulla perché non fosse, forse solo un poco, poi la stanchezza e
la voglia di un abbraccio. Si fa così, negli aeroporti. Non mi piacciono molto gli
aeroporti oggi. Non è stato sempre così, ma adesso lo è.
Ho la barba segnata di bianco, me ne accorgo guardandomi nello specchio mentre vivacemente
passo lo spazzolino da denti su e giù nella bocca, anche un poco di sangue, minuscoli
filamenti duri e bianchi in mezzo ad altri più scuri, alcuni rossicci. Io non sono, o
forse sì.
Ci si rivede, si pensa che forse qualcosa cambierà, si pensa che forse resisterà. Chi lo
pensa io o lei?
Mentre lancio lo spazzolino a testa in giù nel bicchiere del bagno, mi tolgo la camicia e
penso che ho lasciato la giacca sulla spalliera di una sedia in cucina, devo metterla a
posto. Sì, mi sembra una cosa importante. Penso che dovrei cambiare, che voglio cambiare
(forse cambiando città), mentre sfilo, con la sua bella copertina bianca, le Carte
Segrete di Scipione, mi appoggio sul letto colla testa arrampicata sullo schienale, mi
distraggo a guardare le curiose evoluzioni del fumo della mia sigarettaombre cinesi
di un destino vissuto con infamia e con lode. Dopo poco mi addormento, così, con la testa
storta e la giacca in cucina.
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