Anno
IX numero 9 - settembre 2000
RACCONTO
Il sindacato dei
poeti
I poeti da quel giorno si rifiutarono di
pubblicare e di scrivere
di Lorenzo Pompeo
Dopo il disperato appello
di una prestigiosa rivista letteraria i maggiori poeti del nostro paese si riunirono.
Questa volta erano tutti decisi a prendere risoluzioni chiare e definitive, ad uscire
dall'ambiguità, dalla condizione di subalternità, o, peggio ancora, di asservimento
rispetto alle case editrici. Decisero di costituire un sindacato per difendere i loro
interessi e per conquistare una dignità professionale.
Naturalmente furono rispettate tutte le regole, furono elette le cariche, presidente,
amministratore, direttore. Furono costituite le commissioni per elaborare le proposte da
sottoporre all'assemblea generale.
La prima risoluzione che ottenne subito un consenso generale fu quella di attuare uno
sciopero ad oltranza; si trattava di uno sciopero dimostrativo, che avrebbe dovuto
semplicemente dare un segnale alla controparte della reale capacità contrattuale del
neonato sindacato.
Quindi fu indetto uno sciopero per la settimana successiva, che iniziò puntualmente
secondo la risoluzione adottata dal sindacato e con la prevista settimana di preavviso.
I poeti da quel giorno si rifiutarono di pubblicare e di scrivere. Inizialmente la cosa fu
solo oggetto di scherno; a molti sembrava semplicemente assurdo uno sciopero di poeti.
Tuttavia, mano a mano che i giorni passavano, i primi a preoccuparsi del protrarsi
dell'agitazione furono i critici militanti. Lo sciopero li privava di materie prime. Senza
nuovi versi non avrebbero potuto fare il loro mestiere. La preoccupazione dei critici si
estese ben presto alle case editrici, in particolare alle case editrici pirata, quelle
che, per intenderci, speculano pubblicando a spese dell'autore.
Anche le case editrici più affermate condivisero la preoccupazione dei critici, a cui si
sommò anche quella dei giornalisti. Il fatto che non avrebbero potuto né gli uni né gli
altri stroncare, insultare gli autori, diffamare le loro opere poetiche li rendeva
depressi. Il fatto è che anche le case editrici più affermate non avrebbero più potuto
stroncare le timide ambizioni dei poeti esordienti, cosa che dava particolare
soddisfazione a tutti i redattori. Non sapevano più come sfogare la loro acredine.
La cosa naturalmente ebbe delle serie conseguenze nelle loro vite familiari. Ora che non
si potevano sfogare con i poeti, lo facevano su mogli e figli. Poco a poco tutto il mondo
della cultura e della carta stampata fu percorso da una crescente preoccupazione.
Cominciavano a diffondersi appelli e proclami che dichiaravano ormai morta la poesia. A
quel punto il timore si diffuse a macchia d'olio. Anche gli insegnanti delle scuole
cominciavano a preoccuparsi. Gli alunni non ne volevano proprio sentir parlare di poesia e
prestavano sempre meno attenzione alle lezioni di letteratura. In alcune scuole i genitori
decisero di boicottare le lezioni di letteratura sottraendo i loro figli alla scuola in
quelle ore, che definivano "ore morte". Senza parlare degli atenei, delle decine
e decine di cattedratici disoccupati e delle centinaia e centinaia di libri che si stavano
trasformando giorno dopo giorno in carta da macero.
A quel punto la cosa preoccupò anche il Presidente della Repubblica che, in un appello
accorato, pregò i poeti di desistere da quello sciopero a oltranza che aveva provocato
conseguenze così gravi e inaspettate.
I poeti, da parte loro, non si aspettavano di scatenare un tal putiferio. Tuttavia erano
soddisfatti dei risultati che erano riusciti ad ottenere. Indissero perfino una
manifestazione nazionale nella capitale.
Quando si sedettero al tavolo delle trattative con la controparte, stato e rappresentanti
delle maggiori case editrici, riuscirono ad ottenere una pensione ed una retribuzione
contrattuale.
Proprio appena firmato il nuovo contratto della categoria si vide un grande arcobaleno che
splendeva nelle campagne poco distanti dalla capitale, segno che di lì a poco sarebbe
tornato il sereno e che la vita sarebbe ricominciata a scorrere come prima.
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