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Anno IX numero 9 – settembre 2000

 LETTERATURA

Il Dio, il tempo, gli uomini e gli angeli di Olga Tokarczuk
Il villaggio e il mondo rurale nella giovane narrativa polacca

di Lorenzo Pompeo

La comparsa di un nuovo autore (in questo caso autrice) che scrive in una lingua 'esotica' come il polacco suscita Olga Tokarczuktra i pochi conoscitori di quella lingua e letteratura un grande interesse e una certa curiosità. Devo ammettere che prima dell'uscita di Dio, il tempo, gli uomini e gli angeli non avevo prestato attenzione alla scrittrice. La pubblicazione della traduzione italiana ha rappresentato quindi anche per me un'occasione per conoscere di questa giovane autrice polacca, che ha presentato il libro a Roma, presso l'Istituto Polacco di Cultura, il 6 giugno scorso durante un incontro animato.
Il romanzo, recentemente uscito in italiano, è per ora l'unico in italiano dei quattro che ha scritto. L'edizione originale risale al 1996, mentre la traduzione francese (Dieu, le temps, les hommes et les anges, Robert Laffont), è uscita a Parigi nel 1998 ed è stata selezionata dalla giuria del Prix du Meilleur Livre Etranger. L'opera in questione era stata a suo tempo selezionata anche dal premio Nike in Polonia ed eletta miglior libro dalla giuria dei lettori. Nel 1997 Olga Tokarczuk ha ottenuto uno dei più prestigiosi riconoscimenti polacchi: il premio della Fondazione Koscielski. L'edizione italiana pone quindi all'attenzione dei lettori nostrani un vero e proprio fenomeno della narrativa polacca degli ultimi anni. Il debutto italiano della Tokarczuk è il risultato di un'onda editoriale che, partita dalla Polonia, ha raggiunto prima la Francia e la Germania, mentre Dom dzienny, dom nocny (La casa di giorno e la casa di notte), il quarto romanzo della scrittrice, uscito nel 1998, è ancora inedito in Italia.
Nata nel 1962 a Sulechòw, Olga Tokarczuk si è laureata in psicologia all'Università di Varsavia. Attualmente vive a Walbrzych, in Slesia. Il suo primo romanzo, Podróz ludzi Ksiegi (Il viaggio del popolo del Libro), risale al 1993, mentre il suo secondo romanzo, E. E., è uscito due anni più tardi.
Mentre degli altri suoi romanzi non ho potuto che farmi un'idea vaga dalle poche notizie che sono riuscito a trovare, l'opera in questione si è imposta alla mia attenzione prima di tutto per una coraggiosa scelta che l'autrice persegue in maniera coerente nel corso di tutto il romanzo: il punto di vista non è tanto quello dei personaggi che si susseguono sulla ribalta della narrazione, ma è piuttosto l'ambientazione, il villaggio di Prawiek (impropriamente tradotto come "Alfa") e la natura, i boschi, i fiumi che circondano il villaggio e formano nello stesso tempo i confini di un mondo arcaico e fiabesco, come indica la parola prawiek, che in polacco equivale più o meno all'espressione "tempi remoti". (Anche il titolo italiano scelto dal traduttore, Dio, il tempo, gli uomini e gli angeli, è un vero e proprio arbitrio, modellato letteralmente su quello della traduzione francese dell'anno precedente e, in quanto tale, segnalato dall'autrice stessa nel corso dell'incontro di Roma.)
Il romanzo si apre con la descrizione del luogo nel quale si svolgeranno le azioni dei personaggi. Il vero protagonista della storia è il villaggio descritto nel primo capitolo, un piccolo lembo di mondo nel quale le stagioni e le generazioni si danno il cambio allo stesso modo. I capitoli successivi sono dedicati ognuno ad un personaggio, che spesso ricompare dopo qualche pagina o qualche capitolo, perseguendo l’autrice la scelta di frammentare il tessuto narrativo in tante piccole tessere che, solo se viste nel loro insieme, formano un grande mosaico nel quale l’uomo e la natura appaiono armoniosamente compenetrati. Tutto un secolo di storia viene così ripercorso attraverso le vicende dei personaggi che abitano questo piccolo spazio con le loro piccole storie, che offrono al lettore un punto di vista inedito su quelle vicende storiche spesso tragiche apprese perlopiù sui libri di storia. Così ecco che le grandi tragedie come la prima e la seconda guerra mondiale, lo sterminio degli ebrei e il regime comunista assumono nel romanzo della Tokarczuk un significato del tutto nuovo e diverso da quello con cui siamo soliti pensarle, quasi fossero elementi di disturbo rispetto a quel senso biologico della vita scandita dai ritmi della natura. I russi prima, i tedeschi poi e ancora i russi sono gli elementi "esterni" che turbano, ma solo temporaneamente, l’ordine delle cose.
Proprio per questo il critico più scaltro e smaliziato, dietro la patina del "realismo magico" di targa latinoamericana, ben visibile in questo lavoro della scrittrice polacca, vi scorge l'antica tradizione dell'idillio polacco, con l'idealizzazione della vita agreste quale misura di tutte le virtù cantato da tanti poeti rinascimentali polacchi. Allo stesso tempo la scelta di rinunciare al punto di vista del protagonista ci appare coerente con gli orientamenti letterari postmoderni di molta letteratura contemporanea. Tuttavia la peculiare fase che sta attraversando un paese come la Polonia (il completamento di una complessa transizione verso la società postindustriale) offre al critico stimolanti spunti di riflessione.
Proprio in quest'ultimo decennio in cui in Polonia tutto è enormemente e velocemente cambiato, il mondo rurale, dove si era ancora conservato il tradizionale e arcaico legame tra l'uomo e la natura, è maggiormente investito da queste trasformazioni. Il romanzo in questione recupera il mondo delle credenze popolari, delle tradizioni agrarie proprio nel momento in cui la modernità lo sta facendo scomparire. Tuttavia il pregio maggiore della scrittrice è quello di evitare l'approccio realistico e descrittivo, e di lavorare piuttosto sulle suggestioni di questo mondo arcaico e rurale, sui riflessi che possono offrire anche alcuni semplici oggetti (uno dei più bei capitoli del libro è, a mio avviso, quello dedicato al macinacaffè, oggetto che nella mia memoria è legato a un magnifico sonetto del Belli).
Alcune delle molte storie che attraversano questo luogo, che è metafora del libro stesso, appaiono solide e compiute anche da un punto di vista narrativo, come ad esempio il personaggio della Spigolatrice, la contadina che vive in una catapecchia ai margini dell'universo di Prawiek, oppure la figura del castellano Popielski, impegnato in un misterioso gioco interminabile con se stesso, o quella di Izydor, una specie di "idiota" del villaggio che riesce a guadagnarsi da vivere con gli indennizzi per le raccomandate da lui spedite e non giunte a destinazione. I brani meno efficaci mi paiono invece le lunghe tirate di carattere esoterico-postmoderno, come quella del capitolo Il tempo degli elementi quadrupli, oppure le considerazioni di carattere più 'metafisico' disseminate qua e là; in sostanza i brani più cerebrali, che paiono di impaccio all’indubbio talento narrativo dell’autrice.
Nel complesso il merito maggiore dell'opera è quello di risultare convincente: i personaggi che abitano a Prawiek ci appaiono altrettanto vivi e credibili dei personaggi del Felliniano Amarcord, naturalmente con le dovute distinzioni di tempo e luogo, e le loro storie potrebbero essere quelle raccontate dai vecchi seduti sulla panchina di fronte alla loro casa in uno dei tanti villaggi polacchi. Non a caso le pagine migliori sono proprio quelle in cui il filo della narrazione di dipana in maniera chiara, più concreta e semplice.
Quello che Prawiek i inne czasy (una traduzione letterale del titolo potrebbe essere "Prawiek e gli altri tempi", che si ricollega alla struttura del libro, nel quale il titolo di tutti i capitoli è "il tempo di…" seguito dal nome di un personaggio) ci propone è in sostanza un recupero in chiave postmoderna di tematiche della cosiddetta narrativa "contadina", un filone che nella letteratura polacca del nostro secolo è valso persino un dimenticato premio Nobel con il romanzo-epopea Chlopy [trad. it: "I contadini"] di W. Reymont, in un momento in cui il mondo rurale e arcaico sta scomparendo. L’inevitabile componente naif è bilanciata da una certa dose di intellettualismo e questa miscela dosata con sapienza ne ha fatto uno dei best seller polacchi degli ultimi anni. Il lettore italiano potrebbe apprezzare il romanzo per lo stesso motivo; altrimenti si dovrà accontentare di una buona narratrice che scrive in una lingua esotica da un vicino paese semisconosciuto.
In questo anno in cui sono scomparse due grandi figure delle lettere polacche come Gustaw Herling-Grudzinski e Kaziemierz Brandys, giungono dalla Polonia nuovi autori e nuovi talenti in grado di raccogliere e mettere a frutto stimoli e spunti della letteratura contemporanea mondiale e questo, seppure nel rammarico per così grandi perdite, è indubbiamente un segnale positivo che fa ben sperare per il futuro.



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