Anno IX
numero 3 marzo 2000
SATIRA E COSTUME
Burini di campagna e burini di città
di Francesco Barbone
«Non si preoccupi, so i burini di Roma». Questa la spiegazione fornitami
dallagente immobiliare di fronte alla mia perplessità nei confronti del traffico
domenicale dei Castelli Romani. Perplessità raddoppiata nel sentir definire «burini» i
cittadini romani. Però, a pensarci bene, sono più plateali le manifestazioni di
cafoneria dei Romani in visita ai Castelli che quelle dei castellani che scendono a Roma.
Certo, luomo ha unattrazione fatale per il cambiamento del luogo; linsaziabile voglia di
«Altrove» (daltronde ce lhanno anche gli uccelli...). I Greci antichi, tanto
per cambiare, avevano fatto anche di questo desiderio un mito: Ulisse. Costui, dopo anni
di guerra troiana e relativo viaggio di ritorno, peggiore di una crociera di immigrati,
era tornato dalla moglie multando i Proci per divieto di sosta e cacciandoli col foglio di
via; bene, dopo qualche mese di tranquillo tran tran disse egli a Penelope «Cara, vado un
attimino a prendere le sigarette...» E scomparve oltre le Colonne dErcole!
Benedetto «altrove»! Lerba del vicino è più verde, il di lui campanile è più
alto, la sciampista è stata alle Maldive ma non conosce Todi; fiumi inrociati di macchine
ad andamento lento vanno da Fregene a Santa Marinella, da Riccione a Cattolica, da
Frascati a Grottaferrata e viceversa. Ma ndo andrete! Persino nelle case si
materializza questa «voglia». II romano, ebbro di palazzoni e ingorghi, cerca ai
Castelli il casaletto senza tempo fatto di mattoncini antichi e vecchie travi. II
castellano con tanta voglia di metropoli riempie la villetta di idromassaggi, cromature e
piastrelle firmate. Dicevo ad un mio collega che abita ai Castelli: «Che bello la
domenica farsi due passi nel verde! E tu che fai al di di festa?» E lui, con
locchio lucido: «Scendo a prendere il caffè a Piazza del Popolo». Certo, da
Orazio a Ovidio ai maninisti dellArcadia i poeti hanno cantato la quiete bucolica;
ma per Woody Allen (uso le parole di Verdone) «la campagna è una palla!».
Anche il mio amico sardo Bachisio (che si crede spiritoso) odia la campagna e respira
felice lo smog di Piazza Bologna. Io sostengo che la causa di ciò risale al fatto che ha
vissuto i suoi primi ventanni sullalbero... Lui nega, ma lo inchioda un
certificato di cittadinanza firmato: limpiegato del ramo. Ed è lui lautore
della poesia: Si sta come dautunno sugli alberi le figlie.
Comunque,visto che cè, questa voglia di muoversi potrebbe e dovrebbe portare a
nuove conoscenze, socializzazioni e amicizia. Tra Romani e Castellani dovrebbero però
essere evitati come la peste i seguenti comportamenti.
-Comportamento romano: il romano, anche se abita, in due stanzette di periferia, si sente
erede dei nobili e prelati che salivano a prendere il fresco nelle ville
tuscolane. Si
immedesima nel Gattopardo, che, giunto in villa Donnafugata, salutava prima i cani e poi
il fattore; sogna di dare, come i marinai di Colombo, ai locali specchietti e perline in
cambio di salsicce e caciotte nostrane. Inonda i prati di cartacce, «tanto poi il burino
aripulisce...».
-Comportamento castellano: il Romano non è un potenziale cliente, è un fesso di
passaggio cui ammollare la sòla, tanto chi lo rivede! Se il quirite ha una casa nel parco
gli artigiani lo trattano come lo zio dAmerica «anni 50» ricco e
fregnone.
Se entra in un negozio ha la sensazione di essere invisibile: la negoziante continua
imperturbabile a parlare con la comare (che fa la spesa condita di chiacchiere e
maldicenza) e si disinteressa completamente dello sconosciuto avventore che attende con
impazienza. Ma suvvía, perbacco! E volemose bene!
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