SATIRA E COSTUME
Ué, Valentino!
di FRANCESCO BARBONE
Mi capita tra le mani una vecchia edizione dei Canti di
Castelvecchio, datata 1919. La sfoglio. Comprendo perché un grosso centro sportivo
oggi esistente a Castelvecchio di Barga è stato chiamato «Il Ciocco»: tale è il titolo
di un bellissimo poemetto che fa parte della raccolta. Lo sguardo mi cade su
«Valentino». La notissima poesia mi torna incontro dai tempi della scuola. Eppur mi
sembra di leggerla per la prima volta. Oh! Valentino vestito di nuovo
Ma
quellOh! non è vocativo! È unesclamazione di sorpresa (lUé
napoletano): sorpresa nel vedere con indosso un vestitino nuovo il bimbo che il poeta era
solito incontrare scalzo e lacero. Ma guarda un po: Valentino vestito di nuovo! (Da
grande il bimbo, per rivincita esistenziale, sarebbe diventato un famoso stilista! Ahio,
mè scappata!). Come le brocche dei biancospini. La similitudine è bella, il modo
di esprimerla non felicissimo. Il poeta paragona limbattersi nel fanciullino
novovestito alla gradevole sorpresa che si prova nei confronti di un biancospino, fiorito
dalloggi al domani (almeno credo). Cè tutto Pascoli in questo paragone, e
ancor più nel modo di raccontare la
scalzità del bimbo: le sue scarpe sono
la pelle dei piedini. Ma dimme te: Pascoli Giovanni, omone baffuto, professore emerito col
cuore di fanciullo. Daltronde la sua Romagna solatìa non ne ha perso lo stampo: ci
ha regalato poi Fellini e Pupi Avati.
I piedi scalzi sono gratis. Ma verso lacquisto della stoffa per il vestitino è
stato, con sofferta scelta, dirottato un inverno di povero reddito, costituito dalle uova
del magro pollaio. Presume il poeta che il freddo invernale fosse nel bimbo lenito dal
pensiero che le galline accumulavano giornalmente limporto occorrente per
lacquisto del vestitino: il verso delle ovipare si trasforma, con onomatopeica
dolcezza, in: «Un cocco per te!» Accipicchia! Più Pascoli di così si muore. Ma arriva
marzo, le galline divengono chiocce e il flusso di reddito si interrompe prima che
sia possibile mettere insieme i soldi per le scarpe; così il bimbo resta vestito a metà.
Come un uccellino, che ha penne addosso, ma zampette nude; pur tuttavia è felice, nel suo
piccolo mondo fatto di sostentamento, canto e amore. Pascoli si ferma a considerare la
presente felicità del bimbo, risparmiandoci il futuro nero che attende (e te
pareva!) il «garzoncello scherzoso» di Leopardi. Oggi la scenografia di variegata natura
e duro lavoro contadino, dove Pascoli ambientò i suoi canti (Abetone) è cambiata:
turismo, linde villette di montagna, alberghi
Probabilmente alla mamma di Valentino
bastano oggi un paio di mance per vestire da capo a piedi il figliolo da «Memmo lo
stracciarolo svuota-sconti fino al 90%». Il vestito costa meno; chissà, forse perché a
tagliarlo e cucirlo è Val-en-tin, bimbo cinese al lavoro per tredici ore al giorno. Con
il villaggio di oggi anche la miseria è
globale.
Valentino
Oh! Valentino vestito di nuovo,
come le brocche dei
biancospini!
Solo, ai piedini provati
dal rovo
porti la pelle de
tuoi piedini;
porti le scarpe che mamma
ti fece,
che non mutasti mai da
quel dì,
che non costarono un
picciolo: in vece
costa il vestito che ti
cucì.
Costa; ché mamma già
tutto ci spese
quel tintinnante
salvadanaio:
ora esso è vuoto; e
cantò più dun mese,
per riempirlo, tutto il
pollaio.
Pensa, a gennaio, che il
fuoco del ciocco
non ti bastava, tremavi,
ahimè!,
e le galline cantavano,
Un cocco!
ecco ecco un cocco un
cocco per te!
Poi, le galline
chiocciarono, e venne
marzo, e tu, magro
contadinello,
restasti a mezzo, così
con le penne,
ma nudi i piedi, come un
uccello:
come luccello venuto
dal mare,
che tra il ciliegio
salta, e non sa
choltre il beccare,
il cantare, lamare,
ci sia qualchaltra
felicità.
Giovanni Pascoli
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