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  Anno VIII numero 12 – dicembre 1999

  

 ARCHEOLOGIA

Proswpon, Fersu, Persona
Phersna – L’Individuo e la Maschera (terza parte)

di MARIO GIANNITRAPANI

L’individuo umano è quindi solo un aspetto dell’essere in un determinato stato contingente di manifestazione, così una conoscenza limitata alla facoltà mentale quale forma determinata (ahamkàra, coscienza umana dell’io) non è che semplice conoscenza per riflesso, analoga a quella delle ombre che vedevano i prigionieri della caverna simbolica di Platone, quindi indiretta ed esteriore. L’intuizione intellettuale si pone oltre questi limiti, non appartenendo all’ordine delle facoltà individuali, si realizza con la trasposizione del centro della coscienza dal ‘cervello’ al ‘cuore’ ed in virtù di questo trasferimento sappiamo che ogni “speculazione” ed ogni “dialettica” non possono evidentemente esser più usate. 8 Nell’associazione ragione = mentale, quali principi riflettenti l’analogia e la rifrazione del principio universale nell’ordine mentale umano, si assiste alla consequenziale differenza tra mentale ed intelletto puro. L’intelletto puro realizza la coscienza nel passaggio dall’universale all’individuale, ma quest’ultima appartenendo all’ordine individuale appunto non si può identificare col principio intellettuale stesso, nonostante proceda direttamente dal medesimo. La conoscenza di cui si tratta non è però contraria od opposta alla conoscenza mentale in ciò che quest’ultima ha di valido e di legittimo nell’ordine relativo, nel dominio individuale. Proprio il piano di intersezione del principio intellettuale con il dominio specifico di determinate condizioni d’esistenza produce la individualità considerata. 9 Il gnwsei auton (conosci te stesso) socratico, la verità araba haqiqah, l’essenza nel significato di Edh-Dhat implicano il passaggio dal molteplice all’uno, dalla circonferenza al centro, a quel punto unico ove è possibile all’essere umano restaurato nelle sue prerogative primordiali, elevarsi agli stati superiori e ritornare ad essere quello che potenzialmente è dall’eternità, la conoscenza come intuizione intellettuale stessa, secondo l’occhio del cuore (aynul-qalb). Non si tratta quindi di idealizzare un mondo passato, nè di estrapolare teorie dai pochi indizi che quest’ultimo ci fornisce, bensì constatare come sia un senso differenziato ed antitetico al moderno che da questi documenti promana. Nulla nell’antichità, dagli insegnamenti dei  saggi alle documentazioni materiali, a parte alcuni particolari periodi che segnano la decadenza e la corruzione del costume, era inutile, eccessivo, sfarzoso, gratuito; ogni minimo particolare, dall’ansa di una scodella ai più bei metri della poesia, sottolineavano una visone del mondo organica, armonica, una vita che nella elementarità e semplicità del carpe diem oraziano aveva il suo più genuino fondamento.
Dal mito di Giano Bifronte a quello di Narciso, l’idea del doppio, dell’altro che è dentro di noi, dello specchio, della maschera - interessanti per la remota antichità le maschere  neolitiche raffigurate nella statuina di Canne e nel collo ceramico di Porto Badisco - pervade e compenetra la vita dell’uomo antico. La maschera ha il potere di scacciare i demoni e quello di proteggere chi la porta ; è appannaggio degli iniziati e generalmente dei soli uomini. In sintesi la maschera è uno, tra l’altro, degli emblemi della cultura tradizionalista africana, ed il suo ruolo principale è quello di riaffermare a intervalli regolari, la verità e la presenza immediata dei miti nella vita quotidiana ; si riaggancia così all’ordine cosmogonico, rigenerando il tempo e lo spazio (Vigorelli 1991). Pallidi e spesso degenerati riflessi della percezione atemporale dell’io cosmico li ritroviamo in quelle poche ma significative opere che nel teatro, nella letteratura, nell’arte ancora “inebriano” l’uomo contemporaneo (Dr. Jekyll e Mr. Hyde, il ritratto di Dorian Gray, le intuizioni freudiane, il doppio e l’inconscio, e molte altre ancora) svelandogli echi di conoscenze remote, perdute nella notte dei tempi quando si era ancor “coscienti” di esser “maschere ridenti di un nume immortale.”
(fine III parte)

Note:
8 Il passo del Guènon, Considerazioni… cit., pp. 280-81, rimanda a sua volta ad una importante disamina dell’Evola in La dottrina del Risveglio, 1973, quella in particolare relativa alla distruzione del demone della dialettica, cap. IV, pp. 56-61, dove il pensiero speculare, il semplice opinare, le molteplici teorie, dice l’autore, riflettono una inquietudine fondamentale di chi non ha ancora trovato in se stesso il proprio principio. Il solo intelletto discorsivo, vitakka, non può, appunto, che avere valore di “opinione,” di doxa. E l’afhle panta, il “togli via tutto” dell’ascesi buddista non ha nemmeno il senso di un sacrificio dell’intelletto a favore della fede, come in certo misticismo cristiano. E’ piuttosto una catarsi preliminare, l’opus purgationis giustificantesi in vista di un superiore tipo o criterio di certezza, quello che si radica in una effettiva conoscenza, assimilata analogicamente, come nella tradizione vèdica, ad un vedere ; il video latino, l’oida greco. E’ quindi lo stesso “cuore,” preso simbolicamente per rappresentare il centro dell’individualità umana, considerata nella sua integralità, ad esser messo in corrispondenza sempre con l’intelletto puro, da tutte le tradizioni. La via della conoscenza diviene la via dell’identificazione il cui raggiungimento è oltre il dominio individuale, ma possibile poiché l’individuo in cui alberga l’essere è parimenti anche altra cosa. Proprio la rinunzia al mentale, all’impotenza della facoltà discorsiva che non può superare i limiti della natura medesima, è il primo gradino verso l’Ego sum, l’Io sono, Je suis, meglio noto come “Gesù.” Nel non attaccarsi al ragionamento, nel non rimanere prigionieri della forma, è il preliminare lavoro per passare dalla molteplicità all’unità, dalla circonferenza al centro, in quel punto unico ove è possibile superare il ciclo indefinito della manifestazione e quindi consentire la restaurazione di quelle prerogative dello “stato primordiale” dell’uomo con il quale accedere agli stati superiori dell’essere e realizzare la propria essenza. Così colui che conosce se stesso nella verità dell’essenza eterna ed infinita, conosce e possiede tutte le cose in se stesso e per se stesso, essendo pervenuto allo stato incondizionato che non lascia fuori di sè alcuna possibilità, ed è appunto “colui che non chiacchiera molto e ascolta poco,” (“Discorsi di Ermete Trismegisto,” ed. cons. 1965, pp. 94-95) poiché “chi perde il suo tempo nel discutere e nell’ascoltare chiacchiere, vibra pugni contro il vuoto. Infatti la divinità, il bene, non si conoscono né parlandone né ascoltandone parlare.”
9 Fondamentali distinzioni operate dal Guènon in “Gli Stati molteplici dell’essere,” pp. 71-78, Id. “Considerazioni cit.,” (ed. cons. 1988) pp. 276-282, anche per comprendere l’accezione specifica del termine ‘intellettuale’ ben diverso da quello in voga attualmente nell’occidente post-moderno. L. Vigorelli et al. 1991, Immagini dell’invisibile. Figure e maschere dell’Africa sub-sahariana, Bergamo.


 

  

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