ITINERARI CULTURALI
San Paolo fuori le mura
Quel faro delle Genti
di ALBERTO CRIELESI
La notte dal 15 al 16 luglio 1823 un violento incendio distrusse
lantica Basilica Ostiense
«parea come riporta un documento
dellepoca un Vesuvio
terribile, sorpassando le fiamme superbe del loro fatale dominio le più alte montagne;
giacché lungi quindici e più miglia si poté vedere cotanta disgrazia, che fece in ogni
cuore un orrore sacro e penetrante
» Stendhal, presente in quei giorni a Roma,
annotò nelle sue Passeggiate Romane le sensazione che provò nel vedere
limmane disastro: «...nebbi una dolorosa impressione come solo la musica
di Mozart può darne idea; tutto narrava lorrore e il disordine di
quellavvenimento disgraziato; la chiesa era ingombra di travi nere e fumanti,
semibruciate; grossi frammenti di colonne spaccate dallalto in basso minacciavano di
cadere alla minima scossa
» Su le cause che provocarono lincendio gravò
il mistero; si parlò di sventatezza dei restauratori del tetto, ed essendo ancor freschi
nella mente i fatti del 1821, della setta dei Carbonari e di vendette politiche:
dellantica costruzione era la più bella chiesa di Roma, a cinque navate
divise da 80 colonne e decorata da affreschi e mosaici rimasero miracolosamente
superstiti il ciborio e parte della zona absidale.
Pio VII finiva in quei giorni la sua travagliata esistenza ed il suo successore Leone XII,
aiutato da tutta la Cristianità, diede opera alla sua riedificazione che fu diretta dagli
architetti: G. Valadier (coadiuvato dal Salvi, il Paccagnini, A. Alippi); dal P.Belli, con
Pietro Bosio, Alippi, Pietro Camporesi; e specialmente dal modenese Luigi Poletti
(1792-1869), che ebbe tra i collaboratori il Vespignani, e che vi lavorò per ben sette
lustri.
Nel 1840 Gregorio XVI consacrò il transetto e Pio IX tutta la Basilica nel 1854. Nel 1856
venne ornata la facciata, volta verso il Tevere, di mosaici a fondo oro su disegno di
Filippo Agricola e Nicola Consoni con: Cristo benedicente fra i SS Pietro e Paolo;
lAgnus Dei sulla collina, dalla quale sgorgano i quattro Fiumi biblici a
dissetare il Gregge cristiano tra le Città Sante e, tra i finestroni, Isaia,
Geremia, Ezechiele, Daniele.
Dopo lUnità dItalia, tra il 1873 e 1884, si ricostruì invece il nartece del
Vespignani, e il fastoso quadriportico del Calderini concluso nel 1928, composti
nellinsieme da ben 146 colonne monolitiche di granito rosso di Baveno e bianco di
Montorfano. La porta centrale, in bronzo ageminato del Maraini (1931), sigillò il
gigantesco lavoro ricostruttivo della basilica ostiense splendidamente risorta dalle sue
ceneri.
Eretta sulla «cella memoriae» dellApostolo Paolo da Costantino il Grande,
fu ampliata da Valentiniano II, nel 386, poi da Teodosio; il figlio di questultimo,
Onorio, la completò e la sorella di lui, Galla Placidia, la fece ornare con il
bellarco trionfale scintillante di mosaici. Nel sec. IX fu saccheggiata dai Saraceni
sicché Giovanni VIII la cinse di mura fondando così un villaggio fortificato che venne
chiamato Giovannipoli. Nel sec XI la basilica si arricchì di due importanti opere: il
campanile ed il portale bronzeo donato da Pantaleone di Amalfi e forgiato a
Costantinopoli. Nel corso del Duecento e nei primi decenni di quello successivo
furono realizzati: il candelabro, la decorazione del catino absidale, il mirabile
chiostro, il tabernacolo, ed il ciclo pittorico del Cavallini. Un terremoto del 1349
danneggiò gravemente il complesso provocando, tra laltro, la distruzione del
campanile e parte del portico. Con la Cattività di Avignone, lo Scisma
dOccidente e le sventure che ne seguirono iniziò la decadenza della basilica che
venne fatta riparare da Bonifacio IX, Martino V e maggiormente da Eugenio IV nel 1426.
Altri interventi proseguirono sotto i papi successivi e questo sino a Benedetto XIV, nel
1747, che fece restaurare il ciclo di affreschi cavalliniano e la serie dei famosi
ritratti papali dal pittore Monosilio.
Entrando nellinterno di dimensioni quasi identiche a quella della Basilica
Ulpia e della quale può fornirci unidea perfetta ci colpisce la solennità
dellinsieme: la flebile luce che filtra dalle finestre chiuse da lastre in alabastro
illumina la selva marmorea delle colonne che si specchiano sul vasto e prezioso tappeto
marmoreo del pavimento. Nella controfacciata, le sei colonne di alabastro dono del Kedivè
di Egitto del 1840. Alle pareti delle navate corre una fascia di medaglioni in mosaico con
i ritratti di tutti i papi. Nei soffitti a lacunari dorati campeggiano gli stemmi dei
pontefici legati alla storia della ricostruzione mentre il grande arco di trionfo,
superstite dellantica Basilica, con il Salvatore tra i 24 Seniori
dellApocalisse, incornicia lo stupendo tabernacolo magnifico esempio di arte
toscana duecentesca opera del subtilissimus et ingeniosus magister Arnolfo di
Cambio (1285) cum socio Petro, questultimo identificato in passato con Pietro
Cavallini e più di recente con Pietro di Oderisio. Lelaboratissimo ciborio, posto
sulla tomba dellApostolo, è retto da quattro colonne di porfido con capitelli
dorati, su cui si impostano archi trilobi a sesto acuto sormontati da timpani triangolari.
Nei pennacchi, bassorilievi e nei baldacchini angolari le statuine dei Ss. Pietro, Paolo,
Timoteo e Benedetto. La copertura è un elegante fiorire di edicolette, guglie, ghimberghe
e pinnacoli in marmo intarsiato.
Nel transetto, a destra, lo splendido candelabro pasquale eseguito, tra la fine del XII e
gli inizi del secolo successivo, da Nicola di Angelo coadiuvato da Pietro Vassalletto;
alto metri 5,60, il più grande di Roma, è sorretto nella base da quattro coppie di
animali fantastici taluni leoni, altri con corpo felino e teste di ariete, di uomo e di
donna, abbracciati da figure femminili posti in corrispondenza degli spigoli. Il fusto,
diviso in sei parti sovrapposte ed istoriato con arabeschi e scene della Passione e
Resurrezione di Cristo, termina con una coppa strigilata sorretta da mostri.
Conclude la vasta aula basilicale unabside rilucente di mosaici antichi (1220)
fortemente restaurati in cui domina, tra i Santi, la figura del Cristo in trono
benedicente davanti al quale si prostra un minuscolo Onorio III. Nel registro inferiore la
Hetimasia, ossia il trono vuoto con la croce e gli strumenti del martirio, tra
Angeli e Apostoli.
Usciti da quel crepuscolo dorato della Basilica a volte «forato» da inaspettati fasci di
luce, ci addentriamo nella soave e pacata luminosità del chiostro (1208-1235): stupendo
esempio di quellarte dei Cosmati e dei Vassalletto che, con eleganza, grazia e
magnificenza, ci ha lasciato piccoli poemi di simboli e di Fede intagliati nel marmo.
Negli ambulacri colonnine binate, lisce, ottagone, a spirale, intarsiate di mosaici
sorreggono archetti su cui corre una iscrizione metrica in lingua latina che illustra
cosè un chiostro e quale è il suo compito nella vita monastica.
Usciti dal complesso, sulla Via Ostiense, tangente il catino absidale, la torre campanaria
eretta dal Poletti tra il 1840 e il 1860.
Rivestita di travertino, è alta 65 metri suddivisi in cinque piani, di cui i primi due in
forma quadrata, seguiti quindi da altri tre dove si sovrappongono nette forme geometriche:
quadrato, ottagono, cerchio corrispondenti agli ordini dorico, ionico e corinzio che per
ultimo adorna un tempietto circolare di sedici colonne che le fa da culmine.
Larchitetto modenese volle creare così, sul modulo delle canoniche torri
albertiane, un misto tra un solenne sepolcro romano ed il faro di un porto, si, un
monumentale faro come lappellativo dato allApostolo Paolo
avvistabile lungo il corso fluviale del Tevere e lasse dellantica Via Ostiense
che ricordasse a chi vi passasse vicino, tra laltro, il culto dellApostolo
delle Genti e la sua ecumenica dottrina.
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