CINEMA
Lezioni di vita in contatto secondo
Almodóvar
Tutto su mia madre
di NICOLA DUGO
Tutto su mia madre di Pedro Almodóvar è un film drammatico. In
qualche misura è un film dedicato alle mamme. E si tratta di un ottimo film. A parte
queste considerazioni esteriori, il
film è crudo, anche sfigato, nella misura in cui su due possibilità, una desito
positivo e laltra desito negativo, ai personaggi capita sempre il peggio. Il
meccanismo ha bisogno di una tecnica che sorregga la trama che, messa a nudo, si
rivelerebbe tediosa. La fotografia e la ritmica, lesito felice di alcune
caratterizzazioni dei personaggi permettono di mantenere nello spettatore un livello
dattenzione al film senza il quale sarebbe un vero fallimento. Da questo punto di
vista, il film è arditamente ben riuscito: ha una minore ampiezza visiva di Short Cuts
(America Oggi) di Robert Altman, ma una migliore linearità e fruibilità. Entrambi
raccontano i luoghi di tangenza degli uomini della società frammentata e anestetizzata
dai propri circuiti, dalle nicchie e dai tragitti di formica che ci stanno sopraffacendo
nella nostra stupidità.
Lo sgretolamento dei legami familiari e le atipiche relazioni amorose costituiscono il
tema portante di unambientazione sociale che ben rappresenta, se si vuole in
sintesi, quello che pare avvenire nelle nostre famiglie. Contro questo sgretolamento, ci
dice Almodóvar, cè poco da ricorrere alla tradizione: occorre rileggere uno
scenario mutato. Pure, negli uomini, ci sono gli stessi moti danimo, gli stessi
attaccamenti e gli stessi amori della famiglia tradizionale. Egli, come autore, non
rappresenta una farsa, ma una situazione atipica che si dimostra in tutti i suoi tratti
essenzialmente realistica, e il cui messaggio di fondo è: «Cè poco da
scherzare.»
Il titolo del film è tratto da All about Eve, un classico della cinematografia
americana (in italiano: Eva contro Eva). Da quel «Tutto su Eva»
delloriginale il figlio di Manuela, la protagonista, decide di scrivere Tutto su
mia madre. Egli non ha mai conosciuto il padre e vorrebbe riempire quella parte della
vicenda materna che gli è oscura con ciò che lo riguarda: il padre. Ma viene investito
da una macchina e muore clinicamente poco prima di poterlo sapere. Manuela, infermiera in
un reparto di terapia intensiva, dona gli organi del figlio.
A questo punto tutto sembra proseguire in avanti, come nellautomatismo di chi è
sopraffatto dallo scorrere della vita e dai suoi nuovi scenari (per esempio, la donazione
dorgani). Manuela quindi scopre chi è il beneficiario degli organi e lo segue. Ma
è una mossa falsa, capace di accentuarle lo stato di sofferenza in cui versa. La vita
forse occorre che vada a ritroso per essere più vicini a se stessi. Manuela abbandona
lallontanamento dal passato che aveva perseguito per diciassette anni fuggendo con
in grembo il figlio allinsaputa del vero padre, e va alla ricerca di
questultimo. La protagonista dà un taglio con il proprio lavoro di infermiera e con
la città in cui vive, ritrovando in sé e non nella quotidianità del lavoro e dei suoi
meccanismi lo stimolo per portare avanti la propria vita.
Chi è il vero padre di Estefan? Poco a poco scopriremo che è un transessuale di nome
Lola, il quale è irreperibile ma che, nel frattempo, ha ingravidato una suora, Rosa, e le
ha attaccato lAids. Il ciclo dellla maternità continua, ma in modo intrecciato ora,
fra simulazioni e dissimulazioni che lambiente della prostituzione transessuale
rende connaturato per cultura.
Abbiamo ora una suora ingravidata da un transessuale che ha contratto lAids. La vita
è davvero strana a volte, e la situazione realistica. Almodóvar non fa leva su questa
atipicità. La tratta invece come se si trattasse di una vicenda qualsiasi, con una
ritmica appena più serrata di certa Nouvelle Vague. Il pregio sta nella concisione
delle scene del film, che puntano meno lattenzione su certi ambienti tipici dei suoi
primi lavori o, cercando nella cinematografia nostrana più garbata, nel Monicelli di Caro
Michele o Speriamo che sia femmina, in cui si indulge a una più forte
caratterizzazione delle diversità destrazione sociale dei personaggi. Qui, invece,
è come se i personaggi si incontrassero senza stridore, là dove lumano li
accomuna, dove il femminile e lamore li rende comprensivi gli uni degli altri. Ed è
questo contrappasso damore nella tragedia, di perdita nel dolore che tiene sempre
più uniti personaggi la cui biografia è tuttaltro che simile: lattrice di
successo lesbica e attempata, lattricetta viziata, tossicodipendente e lesbica, la
transessuale ex prostituta, linfermiera ex madre, la suora che aiuta prostitute e
tossicodipendenti e il cui padre malato non sa riconoscerla, la madre borghese che scopre
che il proprio nipote è stato concepito da un transessuale, il transessuale che si scopre
padre di un figlio e gli viene rivelato dessere stato padre di un altro figlio ormai
morto.
Vita e morte si incontrano in un cimitero. Lola, il padre di due Estefan (uno morto e
laltro appena nato), è malato di Aids e sa il suo destino.
A questo si aggiunga un altro intreccio della simulazione: il teatro. Un teatro, per
giunta, sulla donna e sulla maternità, qual è Un tram che si chiama desiderio di
Tennesse Williams. Quasi che la vita reale sia più fantasiosa dellarte, le attrici
dissimulano e simulano molto peggio delle transessuali, e spesso si fanno irretire e
divertire dalle loro bugie. La teatralità e il travestitismo transessuale si coniugano
con unattenzione, una sensibilità e un affetto verso le amicizie al punto da
diventare una lezione di vita per chi ha ormai sgretolato in sé il senso di
disponibilità e solidarietà verso gli altri, anche i propri familiari.
Il film è ricco di citazioni da film e drammi teatrali, in una maniera che appare agevole
a chi non ne conosca le fonti, ma discretamente suggestiva di riflessioni ulteriori per
chi conosca gli originali.
Rifuggendo dalle situazioni smaccatamente grottesche, Pedro Almodóvar ci regala un film
dolorosissimo, in cui, come nella vita reale, si indulge a ilarità e scherzi, senza
perdere il filo conduttore della vicenda. Con brevità scenica riesce a evidenziare le
contraddizioni che spesso ci inducono a credere che una persona sia viva solo perché è
presente. Il padre di suor Rosa che non la riconosce e le chiede quanti anni ha e quanto
è alta in poche inquadrature dà la dimensione di come spesso la perdita riguarda anche i
vivi.
Un ottimo film per meditare su noi stessi e i nostri rapporti con gli altri, nella misura
in cui sono diventati sempre più distaccati, quasi evanescenti, presi come siamo dai
nostri automatismi quotidiani, dalle nostre urgenze, dai nostri interessi, di cui non
sappiamo più neppure lorigine.
|
|