CURIOSITÀ STORICHE
La depressione nei tempi antichi
I Greci la chiamavano melanconia (parte prima)
di VALMONT
Se si volesse scrivere una pur breve storia della depressione psichica
occorrerebbero almeno un centinaio di pagine; è perciò opportuno limitarsi per ora a un
breve cenno introduttivo e rimandare al futuro qualche esempio più specifico.
I medici greci della scuola di Ippocrate (460 a.C. circa - 377 a.C. circa), facevano
dipendere lo stato di benessere dellindividuo dallequilibrio di
quattro fluidi, detti umori: sangue, bile, atrabile o bile nera e flegma. Essi
attribuivano i mali dellanima ad un eccesso di atrabile e per questo motivo
adottarono il termine melanconia, derivandolo da due parole della loro lingua: mélaina
(nera) e cholé (bile) [melaina cole = melagcolia].
Una conferma dellesistenza materiale di questo umore nero era data dalle risultanze
relative alluso dellelleboro nella cura delle turbe psichiche. Si trattava in
effetti di una pianta dai devastanti effetti purgativi ed emetici, che portava inoltre
spesso alla rottura dei vasi sanguigni, con conseguente colorazione rosso-nerastra delle
feci; succedeva quindi quasi sempre che i medici e, soprattutto, i parenti degli ammalati
si convincessero che fosse stata imboccata la via terapeutica giusta, proprio perché
sotto i loro occhi avveniva, attraverso la via più naturale, la sospirata evacuazione del
nero vettore melanconico. Molti autori individuarono come sede dellatrabile la
milza, che in inglese si chiama spleen; perciò in quella contrada in tempi
successivi ha avuto molta fortuna questo termine per designare gli stati tristi e
melanconici.
Lattribuzione della responsabilità di tutte le turbe psichiche ad un fluido
materiale rispondeva anche alla necessità di trovare per questi mali un legame che
esprimesse linterdipendenza tra anima e corpo; vale la pena citare a questo
proposito quanto dice uno dei maggiori studiosi dellargomento:
«Quello che è geniale e che ha fatto la fortuna del concetto, è proprio
larticolazione di sentimenti specifici, ma molto vaghi, con un umore molto preciso,
e che può essere creduto obiettivo. (...) Da un punto di vista interazionista [si può]
considerare che la bile nera è causa di paura e tristezza o che la tristezza e la paura
sono cause della produzione di questo umore.»1
Ed è proprio questa caratteristica che ha fatto sopravvivere la teoria del fluido
melanconico fino alle soglie dellOttocento.
I quattro umori erano messi in corrispondenza con altri raggruppamenti di quattro entità,
numero caro alle teorie scientifico-filosofiche dellepoca, che ne arricchivano la
portata cosmologica, quali le stagioni, le età della vita delluomo, certi pianeti,
gli elementi, le qualità.
Neanche le persone bene in salute godevano di un perfetto equilibrio degli umori e si
potevano distinguere quattro tipologie individuali, a seconda dellumore prevalente.
Così, gli individui con un lieve eccesso di atrabile naturale e non adusta2 potevano dirsi di temperamento melanconico, cioè con
attitudine alla vita contemplativa e tranquilla, a cui li spingeva peraltro una
sensibilità timorosa. Essi erano però esposti più degli altri allassalto della
passione melanconica, specie in autunno, stagione posta in corrispondenza allumore
atrabiliare. Analogamente, per gli altri umori si poteva parlare di persone caratterizzate
dai temperamenti di tipo sanguigno, collerico e flemmatico.
Questo schema teorico aveva grande ripercussione nella pratica terapeutica poiché si
supponeva che, allaumento di uno degli umori, lorganismo reagisse con la
febbre, proprio per bruciarne leccesso. Compito del medico era quello di agevolare
questo processo, tenendo il paziente in un ambiente ben caldo e favorendone le evacuazioni
con purganti, emetici e salassi; la bravura del terapeuta consisteva quindi nel saper
dosare qualità e quantità degli interventi.
Nella cripta della cattedrale di Anagni, famosa per gli affreschi del XIII secolo, nella
volta che sovrasta il dipinto raffigurante Ippocrate nellatto di trasmettere il suo
sapere medico a Galeno, possiamo ammirare una rappresentazione pittorica della teoria
umorale, tutta inscritta in una struttura circolare a quattro quadranti. Al centro di esso
risalta una piccola figura di uomo nudo, il microcosmo, da contrapporre al mondo esterno,
il macrocosmo; questa figurina è perciò circondata dalle scritte HOMO E
MIKROCOSMVS IDEST MINOR MVNDVS. A partire da questo punto laffresco comincia
a differenziarsi nei suoi quattro quadranti.
Nel primo, attorno ad un viso infantile, è scritto PVERITIA SANGVIS.
Cè poi una scritta circolare che racchiude tutti e quattro i quadranti ...VM ... SIC ... DÉM FORMANT
... ELEMENTA ... . Il quadrante della pueritia riprende poi con la
scritta VER HVMIDVM ET CALIDVM, e successivamente con AER
CALIDVS ET HVMIDUS. Si hanno cioè i collegamenti: infanzia, sangue, primavera,
aria, caldo umido.
Nel secondo, un viso di fanciullo è accompagnato dalla scritta ADOLESCENTIA
COLERA RVBRA, e poi, nellordine, ESTAS CALIDA ET SICCA,
IGNIS CALIDVS ET SICCVS. Qui i collegamenti sono: adolescenza, bile,
estate, fuoco, caldo secco.
Nel terzo quadrante, attorno ad un viso giovanile è scritto IVVENTUS
MELANCOLIA, e poi AVTUMNUS FRIGIDVS ET SICCVS, e TERRA FRIGIDA ET SICCA. I collegamenti sono: giovinezza, melanconia (bile
nera), autunno, terra, freddo secco.
Nel quarto quadrante, un viso di vecchio ha la scritta SENECTVS
FLEVMA, seguita da HIEMS FRIGIDA ET HVMIDA, e da AQVA FRIGIDA ET HVMIDA. I collegamenti sono: vecchiaia, flegma, inverno,
acqua, freddo umido.
Questa teoria può far sorridere noi moderni, forti delle conoscenze apportate da
biologia, biochimica, anatomia e quantaltro; essa però ai suoi tempi sancì un
innegabile progresso poiché significò sottrarre la medicina dalle mani dei guaritori e
dei sacerdoti per affidarla agli esponenti della razionalità dellepoca, cioè ai
filosofi.
Nel Medioevo compare un nuovo termine, lacedia, cioè laccidia, una
parola presa a prestito dal greco achdia, che indica lo stato
ozioso o indifferente, uno degli aspetti che caratterizza spesso ancora oggi chi è
affetto da depressione. Di questa volontà di non agire troviamo una bellissima
rappresentazione in un racconto di Herman Melville, autore ottocentesco americano noto per
il suo capolavoro Moby Dick e che figura nel lungo elenco di artisti caratterizzati
da una sindrome maniaco-depressiva, la stessa che spesso in loro accompagna e favorisce
una grande creatività. Si tratta di Bartleby lo scrivano, uscito di recente presso
la casa editrice Einaudi con testo inglese a fronte, in cui il protagonista reagisce al
suo più che comprensivo datore di lavoro, che pur lo vorrebbe ingaggiare a svolgere
almeno qualcuno dei compiti per cui lo paga, con un ripetuto «I would prefer not to»,
espressione in un inglese piuttosto ricercato e che in italiano si impoverisce in un «Preferirei
di no». Emblematica è anche la maniera con cui si conclude la vita del protagonista,
che si lascia morire per una cupa e ostinata anoressia.
Tornando al Medioevo, il termine accidia veniva a quel tempo caricato in ambito religioso
di funeste implicazioni, principalmente perché attribuito a chi avesse perso il giusto
intenso collegamento con Dio. Laccidioso era colpevole del suo stesso male perché,
come diceva San Bonaventura con la frase «Ubi fruitio, ibi quietatio», quando
lanima fruisce della comunione con Dio allora cè la quiete dello spirito. Di
questo modo di pensare della cultura medievale si fa interprete Dante quando piazza gli
accidiosi allInferno, facendoli apparire sommersi nella Palude Stigia e punendoli
così anche per non aver saputo laicamente apprezzare la bellezza di questo nostro mondo:
«...sotto lacqua ha gente che sospira,
e fanno pullular questacqua al summo,
come locchio ti dice, u che saggira.
Fitti nel limo, dicon: Tristi fummo
nellaer dolce che dal sol sallegra,
portando dentro accidioso fummo:
or ci attristiam nella belletta negra.
Questinno si gorgoglian ne la strozza,
ché dir nol posson con parola integra».
Prima di rinviare il seguito ad un prossimo scritto dobbiamo mettere in guardia dalla
identificazione meccanica della nostra depressione con la melanconia degli antichi. Come
capita ancora oggi per i termini psichiatrici, i significati cambiano spesso e molte volte
riflettono un mutare delle scuole di pensiero e delle strategie terapeutiche; ed è anche
per questo motivo che lassociazione degli psichiatri americani ha ritenuto
necessario pubblicare con una certa periodicità un glossario descrittivo delle turbe
psichiche, proprio per evitare una babele di incomprensioni. Per quanto riguarda la
melanconia degli antichi, essi indicavano con questo termine uno stato di timore e
tristezza e perciò, per la scienza moderna, confondevano con uno stesso nome depressione
endogena, depressione reattiva, schizofrenia, nevrosi ansiose, paranoie, ecc. (continua)
Note:
1 J.Pigeaud, La maladie de lâme. Etude sur la relation de
lâme et du corp dans la tradition médico-philosophique antique, Les belles
lettres, Paris 1989; p.124.
2 Cioè non bruciata fino al punto di formare concrezioni solide o
limacciose allinterno del sangue.
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