Anno VII num 5/6
Anno VII numero 5/6 - maggio/giugno 1998 - pagina 23
NOTARELLE DI NOTE
All'alba vincerò
Il fenomeno Pavarotti è oggi così ingombrante, fisicamente e artisticamente, che non se ne può prescindere.
Certo, il musicofilo, come il tifoso, ci casca sempre: tende a comparare lartista o il calciatore con un
modello ideale utopistico e impossibile ad incarnarsi. Non capiterà mai al tifoso di applaudire un attaccante
dotato del dribbling di Maradona, della castagna di Gigi Riva, dello scatto di Paolo Rossi e di Ronaldo e
del colpo di testa di Pruzzo. E così anche il Pavarotti, cantante di successo ricco e famoso, come la più bella
ragazza di Francia, non può dare più di quello che ha; è pertanto assurdo chiedergli la potenza di Tamagno, o
di Del Monaco, il sentimento di Beniamino Gigli, la presenza scenica di Di Stefano. Fisico del ruolo? Zero.
Non esiste un personaggio delle opere liriche che richieda un fisico come quello del nostro Lucianone.
Pertanto egli ci impone un Cavaradossi col fisico di Tyson o un Rodolfo bohemien nella palestra di Rocky
Balboa. E vabbè, questa i tifosi della lirica (abituati alle Mimì che muoiono tisiche a novanta chili) gliela
possono passare. Allora, da un peso massimo ti aspetteresti la potenza. Manco a parlarne: le partiture scritte
per le voci dinamite (Trilogie Wagneriane, Otello verdiano) non sono nelle corde del nostro. Le partiture
leggere e gentili? Niente da fare: ecco a voi Pavarotti, il romagnolo che non canta Rossini. E allora?
Accontentiamoci di un peso massimo che canta le parti medie: quelle di Puccini, per esempio, Ma Puccini è
il grande aedo del sentimento, di eroi ed eroine della porta accanto, dei fremiti segreti del cuore. Puccini ha
quindi bisogno di interpreti più che di cantanti.
Le qualità interpretative di Pavarotti rivaleggiano con quelle di una lavastoviglie; anzi, quando arriva la fase
del risciacquo, vince in espressività lelettrodomestico.
Ahò, a musicofilo, e nun te va bbene gnente, sei er solito criticone! Allora secondo te 'sto Pavarotti è 'na sòla
e chi lapplaude è un fregnone!
Pavarotti ci incanta con la facilità di emissione della voce; rispetto alla maggior parte dei tenori, che lacuto
sembrano partorirlo tra smorfie e doglie, lo squillo di Lucianone parte sicuro in cielo senza sforzo apparente:
questo vuol dire tecnica sopraffina. Quando conclude che allalba vincerà non ci sono differenze né
sforzi rispetto alle note precedenti. Il musicofilo condannato ai farfugliamenti incomprensibili dei cantanti
lirici che litigano con vocali e consonanti si bea del fraseggio e della facilità con la quale Pavarotti canta,
facendo capire tutte le parole (dizione perfetta). E poi il nostro ha un bel timbro di voce, squillante ma privo
di quelle fastidiose risonanze di testa, ovvero di naso, comuni a molti tenori; la voce è corposa ed uniforme
sulle gamme basse, medie e alte: non è di certo poco.
Allora basta tutto ciò a giustificare il grande successo del Luciano nazionale? Questo passa il convento; ma
pare che sia sufficiente. Dietro di lui, poi, cè il vuoto.
Vorrei concludere parafrasando Benigni: il successo di Pavarotti è una cosa stupenda; soprattutto per
Pavarotti.
Francesco Barbone
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