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#Nonleggeteilibri – Vita e morte di un ingegnere

#Nonleggeteilibri – Vita e morte di un ingegnere
Febbraio 22
19:09 2017

Vita e morte di un ingegnere di Edoardo Albinati – Rizzoli, 2012 collana vintage 2015 € 12,00 isbn 9788817090773 e-book € 3,99 disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net

Avere accanto il proprio padre, o altri familiari, e in fondo non averlo mai guardato bene, non saper valutare neppure quale taglia di giacca indossi prima del che cosa determini la forza che conduce le sue giornate, tutto questo pur essendo uno…scrittore. Pensare di non averlo amato e sentirsi pervasi dal suo essere, dai ricordi delle vacanze che erano gli unici periodi lunghi che un padre, ingegnere negli anni ’60, concedeva alla famiglia. Aver combattuto per le strade lui e quella borghesia con cui si divideva il pane all’ora di pranzo, quella borghesia che di fatto lo procurava; comprendere che quel padre non ha mai tentato di far borghesi i propri figli o di farli eredi della propria professione, quale segno d’aver capito che i tempi erano cambiati. Un altro padre, ma padre, come nei ritratti in Bagheria di Maraini, L’isola di Arturo di Morante, Patrimonio di Roth, quello duro e sofferente di Fai bei sogni di Gramellini. Una prosa autobiografica che parte proprio da qui: dalla malattia che colpisce il genitore e se lo porta via in nove mesi durante i quali Albinati s’allontana fino in America e torna, continua a non capire e registra gli avvenimenti minuti tentando di mettere in fila i ricordi d’una esistenza vissuta accanto al padre, percepito così diverso, così desideroso d’accomiatarsi dal mondo senza retoriche. Malatissimo e sofferente, ma proprio per questo sempre più incline alla freddezza, alla solitudine, scevro da confessioni dell’ultimo minuto e sentimentalismi di ritorno. L’autore, vincitore del Premio Strega 2016 con La scuola cattolica (sulle tracce della educazione dei ragazzi romani dell’alta borghesia, gli anni in cui l’autore conosce coloro che perpetreranno il ‘massacro del Circeo’ che con la sua ferocia e il suo voluto (?) simbolismo classista, segnò parte della generazione che veniva appresso a quella dello scrittore), indaga con grande umanità e piedi ben saldi a terra il rapporto col genitore e poi, per forza di cose, con se stesso. Lunghe riflessioni, mai gratuite, sui ‘pezzi familiari’ con i quali è costruita la propria faccia e sul concetto d’obbedienza, personale e generazionale. Se lirismo nasce dalle pagine, non si può dire sia inconsapevole ma scaturisce dalla frizione fra la cronaca delle giornate e una interpretazione che il lettore sente fra le giustapposizioni dei ricordi. La prosa si muove apparentemente in maniera disorganizzata ma capace di suscitare l’idea della vita che scorre e che nelle mani di chi racconta non ha mai smesso di scorrere. Poi, oltre la morte e i suoi riti, l’autore, rinnovando le forti impressioni avute da chi scrive riguardo il cimitero di Prima Porta, si sofferma sulla collina del crematorio, la sua propria architettura, la natura attorno, la città che finisce, la bellezza che non conosce pause per esistere, con la sua trascendenza e immanenza: un doppio arcobaleno accompagna le ultime pagine del libro, i suoi colori vividi e vibranti contro il blu violaceo del cielo regalano «una curiosa felicità». (Serena Grizi)

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