#Nonleggeteilibri – Un uomo innamorato, vita e scrittura (indissolubili) secondo Knausgård
«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)
(Serena Grizi) Un uomo innamorato (titolo originale: Min Kamp. Andre Bok) di Karl Ove Knausgård Feltrinelli 2016 traduzione di Margherita Podestà Heir € 12,00 isbn 9788807888229 e-book € 7,99. Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net
Secondo capitolo de La mia battaglia (niente a che vedere con altre battaglie, se non quella con le nevrosi dell’uomo contemporaneo), Knausgård annuncia sin dalle prime pagine che non è più figlio del padre (il precedente titolo era La morte del padre, 2014) ed è diventato genitore di due belle bambine piene di vita: tutte le domande di chi sta per avere figli paventa e chi non li ha si chiede, vengono qui soddisfatte in almeno cento pagine, su un totale di oltre seicento, di scrittura corpo a corpo con l’essere genitore e continuare a sperare di essere, anche, solo. Karl Ove K., qua è confermato, nella società contemporanea sarebbe da considerarsi fra i sociopatici, perché non gli basta mai stare solo e avverte di sicuro la socialità come una diminuzione dell’integrità del pensiero (e non è vero?); e così facendo ‘a schiaffi’ con queste sensazioni deve anche, per fortuna sua, ritirarsi a scrivere perché ne va della sua salute mentale e dell’economia familiare. Dopo un primo matrimonio infelice la sua nuova vita è con Linda conosciuta qualche tempo prima ad un corso di scrittura, e non in Norvegia ma in Svezia, paese di lei che non capisce, punti dolenti: conformismo del bio uguale a dio, le festicciole dei bimbi con socialità insulsa degli adulti, i non luoghi che, però, stanno dappertutto. Ci introduce così allo ‘scontro di civiltà’ Norvegia vs Svezia e alle colonne culturali delle due nazioni passando per l’evidente divario di ricchezza, bellezza delle città ma anche crudele freddezza nella quale la Svezia pare emergere uno a zero confrontata con l’indole più selvatica ma più calorosa dei norvegesi. Qui lo stile è colloquiale ed intimo con l’amico ritrovato Geir che lo guida attraverso le bellezze della nuova patria ma lo riporta con la memoria ad un recente passato di sbronze memorabili e comportamenti poco più che adolescenziali. Con tali premesse il più instabile nella vita di coppia dovrebbe essere lo scrittore ma per molto tempo sarà Linda a dargli filo da torcere: lui registra senso di inadeguatezza come compagno, come padre, non smette mai di scoprire le mille risorse dell’universo femminile e dovrà grattare il fondo per arrivare alle riserve più profonde di pazienza poiché la vita familiare in certi frangenti chiede tutto. Riaffiora spesso l’ansia dello scrittore che, cadesse il mondo, ad un certo punto deve sedersi e riprendere a scrivere: qui dovrà determinarsi pesantemente anche solo per ‘partorire’ il suo secondo libro. Deve onorare un contratto editoriale e non può tradire il suo mestiere per niente e nessuno al mondo. Esalta la sua natura di trentenne mosso da forze interiori e fisiche che gli consentono d’accettare una ‘vita materiale’ dove è presente molta biologia ma quasi assente ogni anelito intellettuale, creativo, se non seduto davanti a più d’una birra con l’amico Geir (dove i due danno il meglio, e il peggio, di se stessi): Geir dà del ‘santo’ allo scrittore e ne elogia l’idea di purezza/immolazione per il prossimo ma meno quella di infelicità che il nostro pare trascinarsi dietro; lo scrittore sa che l’amico è felice e gli dà del cinico perché non abbassa mai la guardia; l’amico risponde illustrandogli il piedistallo del successo che consente un’infelicità funzionale, noncurante di chi è rimasto in basso tra le persone ‘comuni’, come lui, tutti e due, in una serata, danno prova di misoginia. L’autore nel suo periodo pro-creativo con Linda, fino alla nascita del terzogenito John, in una Stoccolma che dopo averlo liberato diverrà prigione, accetta la compagnia dei sentimenti del fallimento e della vergogna, quella che nella vita precedente gli ha praticamente impedito di fare molte cose, fino a quando, a causa di alcune coincidenze, chiuderà il cerchio. «Avevo un’unica chance. Dovevo recidere ogni legame con il mondo della cultura intriso di lusinghe e corruzione, dove tutti, ogni più piccola merda, erano in vendita, recidere ogni legame con il mondo della televisione e dei giornali, rinchiudermi in una stanza e cominciare a leggere sul serio, non la letteratura contemporanea, ma la letteratura di qualità sublime, e poi scrivere come se la mia vita dipendesse da questo». Perché leggerlo? Riesce a rendere il materiale biografico sorprendente come un giallo.
Potrebbe interessarti:
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento