#Nonleggeteilibri – Teoria della classe disagiata
Teoria della classe disagiata di Raffaele Alberto Ventura Ed. minimum fax 2017 € 16,00 isbn 9788875218171 e-book € 7,99 disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net
in Teoria della classe disagiata l’autore supportato da dati e letture, racconta che il vero dispendio in termini economici dei nostri tempi, almeno per quanto riguarda la classe media è, oltre il fatto che si sia bloccato, forse per sempre, il cosiddetto ascensore sociale, che la classe media non abbia neppure più i mezzi per restare tale. Continuando a pensare da ‘ricca’ ma essendosi costantemente impoverita tanto che oggi è un lusso anche solo investire soldi per avere una istruzione migliore e per aspettare il lavoro giusto adatto ai propri studi e alla propria posizione, (dovendo essere questa istruzione migliore di quella di migliaia di altri individui che la posseggono simile ed in un’attesa già non più sostenibile per molti). Nella ‘lotta impari’, vincono ancora coloro che hanno più risorse per prendere tempo, restare in famiglia ad aspettare l’occasione buona, così tornano vincenti i più abbienti: un fantasma che sembrava fugato con l’apertura della università a tutti; ci si accorge invece che, abbattuto ‘l’ignobile privilegio di coloro che avevano di più’, non è restato che vedersela con la ‘concorrenza’ di tutti gli altri. Fra cittadini che aspirano solo a mantenere la possibilità di acquisto di beni di posizione (per dimostrarsi un gradino più su degli altri nella scala sociale) e democrazia cieca, incapace di programmare anche per pochi lustri di quali professionalità avrebbe eventualmente più bisogno, avendo sfornato laureati per i quali non c’è collocamento, la stagnazione è chiara e limpida. Questa situazione, secondo l’autore, è anche la realizzazione del sogno di molti pensatori sessantottini ma forse, ci viene da commentare, estendere lo studio universitario a tutti, per chi era ai vertici sociali, non ha mai voluto dire che s’intendeva dare una collocazione a tutti.
La tesi ben contestualizzata e confermata da molti esempi e vicende, questa la parte migliore del libro, parla alla nostra intelligenza emotiva, perché attraverso momenti di vita vissuta, citati da altri teorici e dall’autore stesso in quanto membro della classe disagiata di cui si sente parte, riesce a far ben comprendere cosa si è perso con la massificazione di istruzione e stili di vita ad opera del capitalismo. Il saggio non si pone l’obiettivo di dare risposte, anche perché le dinamiche ancora in fase di svolgimento possono essere osservate ma non si contemplano, qui, piani di contrasto o previsione della fine di tale stallo economico sociale. Raccontare che l’opera letteraria di Franz Kafka sia la risultanza della insoddisfazione dovuta allo scollamento tra l’aspettativa di vita dell’autore e ciò che realmente faceva, (un lavoro alienante per esempio) può darsi come lettura parziale dell’opera kafkiana e anche dei comportamenti dell’uomo, oltre che dell’autore. Più azzeccata, forse, la lettura ‘economica’ dei lavori di Carlo Goldoni, chiamato in causa quale osservatore acuto e testimone del proprio tempo. L’imprevedibilità degli individui ed anche quella delle vicende umane non si ritiene si possa incasellare completamente nel sistema di pensiero che disegna, seppure molto bene, i contorni della classe disagiata o borghesia decaduta la quale non comprende, da più d’un secolo a questo punto, di aver già perso buona parte delle proprie posizioni. Molti intellettuali millennials condividono parte delle tesi esposte nel saggio, tra cui il filosofo Diego Fusaro. La verità? Continuare a cercarla abbandonando il pensiero unico e ideologico resta il miglior percorso….
«Periodicamente un politico incauto lancia una sparata sui giovani fannulloni, così scatenando il subbuglio di mille code di paglia che manifestano il proprio attaccamento allo status acquisito per mezzo degli investimenti formativi: «Ho sette lauree, vacci tu a raccogliere i pomodori!» Non ci si può non porre, allora, la questione della disoccupazione volontaria: non è forse la classe disagiata stessa a rifiutare certi lavori, troppo umili e faticosi per lei? Questa teoria descrive effettivamente un fenomeno reale, ma pecca forse di economicismo e finisce per ammiccare a una forma di moralismo. Sicuramente il mercato richiede oggi un certo tipo di manodopera da una parte all’altra del mondo, proprio mente le traiettorie formative e professionali dell’attuale generazione di venti-trentenni prendono tutt’altre direzioni, sulla base di quelle che sembrano essere scelte deliberate e preferenze soggettive.» (Serena Grizi)
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