#Nonleggeteilibri – Quell’anno che la fantasia sembrò aiutare l’impossibile…
«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)
(Serena Grizi) L’anno che a Roma fu due volte Natale di Roberto Venturini, Feltrinelli ed. 2022 – € 9,50 isbn 9788807896491, e-book 8,99. Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR https://sbcr.comperio.it/
Un anno che viene due volte Natale (e come potrebbe mai essere?), è l’anno della sospensione della logica, l’anno dei progetti folli e l’anno della rivincita di quelli che non vincono mai, e anche un anno che nevicò al mare, (struggente!). Così il pregiato Venturini ‘fa finta’ di essere tre o quattro scrittori diversi e in un noir sgangherato ci infila una nuova guida di Torvajanica (toponomastica derivata dalla torre d’avvistamento del Vajanico, ovvero ‘della ghianda’, costruita nel 1580 per difendersi dalle incursioni saracene), e ci racconta la venuta dei pescatori di Minturno, prima stagionali poi stanziali assieme ai coloni della bonifica, che qui vennero a cercare miglior fortuna; ci mette tre o quattro personaggi ‘bolliti’ fra cui la tenera e sbocciata Alfreda, il di lei figliuolo Marco, abitanti primo e secondo piano d’una villetta al villaggio Tognazzi; Carlo, ‘n’amico de amici che ha perso un figlio ragazzo e campa solo per aiutare gli altri e Er Donna, travestito battente la Pontina conosciuto da tutti. Ma a Venturini non basta e scrive alcune pagine che lo fanno pronipotino dell’ingegner Gadda, perché a Roma e dintorni, ancora, uno dei più bei romanzi gialli/noir che sia mai stato scritto sui luoghi e i moventi rimane Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, con quella prosa ‘ritorta’ ma ‘utile’ per attraversare momenti difficili senza tenere bordone alla retorica. Poi scrive anche un romanzo aulico su quanto è bella, ma bella davvero, la costa laziale dallo sbarco di Enea alla pineta di Castel Fusano per quel suo magico mescolarsi di paesaggi, ‘guardoni’ e spiaggia nudista, brutti edifici, macchia mediterranea, miti (dello sbarco e dell’Antica Lavinium e molti altri…): «Carlo avvertiva la presenza del figlio ogni volta che costeggiava la Riserva, e se lo figurava oltre la pineta, trapiantata duecento anni prima per raccogliere i pinoli, proprio all’inizio del bosco planiziale tra le querce caducifoglie, le roverelle e i farnetti. Se lo immaginava felice tra le sughere e i cespugli di mirto belli carichi d’inverno e le rose spoglie (…) era lì che preferiva andare, in prossimità dei resti di un acquedotto dove avevano trovato pezzi di colonne, parti di statue e monete, tante monete…». E tutti questi tre o quattro romanzi si sposano senza confliggere in quel che leggiamo, tanto che è opinione diffusa la bravura del Venturini che si è guadagnato già notevoli premi. Poi un’altra verità ‘storica‘, oltre quelle sui luoghi: ciò che scatena le peggiori peripezie del libro, le più divertenti e sgangherate, è il fatto che Alfreda vede, nel suo non lucidissimo dormiveglia, Sandra Mondaini piangente che le siede accanto e che rivuole il suo Raimondo poiché lei riposa nel cimitero di Lambrate accanto ai suoi, e Vianello nella tomba di famiglia al Verano (anche se dal 2010 i due sono iscritti nel registro del cimitero comunale di Milano). Il nostro eterogeneo gruppetto parte alla volta del Verano, con tanto di Alfreda, per trafugare la bara di Raimondo per poterlo in seguito seppellire accanto alla moglie: da qui il racconto dell’origine di molti guai che si consumeranno tra la Capitale e il viaggio di ritorno alla base, che quasi richiederebbe un seguito (l’idea originale proverrebbe dal trafugamento della salma di Mike Bongiorno avvenuto qualche anno fa? potrebbe essere a leggere le note al libro): perché quei capitoli centrali sono un fuoco d’artificio di trovate, nell’elogio alla disperazione, sempre condite da grande ironia e riferimenti pop d’un ex ragazzino cresciuto a metà degli anni ‘80. Di questo romanzo, come forse già scritto da altri, resta una memoria splendente di sole che continua a lavorare nella mente per giorni dopo aver terminato la lettura. La tenerezza che l’essere umano, per quanto perduto, ancora ispira, la fatica delle generazioni fra lavoro e sopravvivenza, la resistenza d’un ambiente sullo sfondo del quale balugina un mare brutto dove però c’è una secca che ti fa sentire ai Caraibi e dalla quale provengono le migliori pescate del Lazio, lasciano il segno. Soprattutto se si ha un’idea dei luoghi descritti i quali provano a resistere, in nome di quel che poteva essere: «Verso Ostia, il Casino di caccia Borghese noto a tutti come il Castelletto, ora di proprietà del bis-bisnipote di Camillo Borghese, sembrava una casetta di pan di zenzero, con quelle torri innevate».
Immagine web – Copertina dell’attuale edizione Universale Economica Feltrinelli non disponibile
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