Notizie in Controluce

«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)

(Serena Grizi) Primo sangue – (titolo originale: Premier sang) di Amélie Nothomb, Voland ed. 2021 traduzione di Federica Di Lella € 16,00 isbn 9788862434706 e-book € 8,49. Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR https://sbcr.comperio.it/

«Mi portano davanti al plotone di esecuzione. Il tempo si dilata, ogni secondo dura un secolo più del precedente. Ho ventotto anni.» Il plotone d’esecuzione non può non ricordarci l’incipit di ghiaccio e fuoco di Cent’anni di solitudine, protagonista Aureliano Buendía, così come la vicenda che si chiude ad anello, ma non ci sono altre similitudini con l’amatissimo romanzo di Màrquez e peraltro l’autrice col suo personalissimo stile non ce lo fa rimpiangere.

In Primo sangue, per raccontare suo padre Patrick, scomparso nel 2020, Amélie Nothomb adotta la bella soluzione di diventare lui stesso, raccontandolo in prima persona. Patrick non diverrà quel che poi è stato finché non conoscerà la schiatta baronale dalla quale proviene, i Nothomb appunto, ruvidi nobili di campagna accasati con tanto di maniero in mezzo alle foreste d’un territorio aspro e freddo del Belgio. O così appare la faccenda al piccolo Patrick che viene dalle normali cure d’una famiglia borghese, calzato, vestito, scaldato e frequentante una scuola. Con gli zii della stessa età, i figli più giovani di suo nonno, conoscerà la barbarie del gruppetto di scavezzacollo sguinzagliati tutto il giorno all’aperto, malvestiti e malnutriti da un padre snob, poeta, nobile e povero. Quel che lo interessa è l’avventura, il brivido, le farfalle nello stomaco, il doversi rappresentare diverso dal bambino che ancora sarebbe se stesse nella casa nella quale è cresciuto, e verso l’avventura nella magione del nonno nobile tornerà fino all’adolescenza inoltrata, almeno per le vacanze scolastiche, incompreso in questa sua passione ma non osteggiato dall’altra parte della famiglia. Tutto quel che vive, i continui aggiustamenti nel porsi con i giovanissimi zii, col nonno, lo aiuteranno a forgiare un carattere possibilista e dialettico, quello che probabilmente formerà il futuro diplomatico, prima in Africa, poi in Giappone e in molti altri paesi, (la sua storia di personaggio pubblico è facilmente rintracciabile nell’epoca wikitutto). Lo stile fulminante a cui ci ha abituati la scrittrice, la capacità narrativa sono intatti a quasi trent’anni dal suo esordio e non finiremmo mai di leggere le sue storie che prendono sempre una svolta diversa da quel che si crede. Il guizzo sta nella sorpresa narrativa come nel punto di vista, sempre fresco, sempre un poco affacciato sopra l’orlo della storia per sorvegliarla come si conviene. Suo padre fronteggerà, nel lungo sequestro di centinaia di cittadini belgi a Stanleyville, in Congo, i ‘ribelli’ che il governo centrale non riconosce dopo la morte di P. Lumumba. Suo padre conduce con apparente freddezza le trattative per risparmiare più civili possibile ed è un modo per raccontarne le debolezze (non soffre la vista del sangue fresco e gli è impossibile guardare i cadaveri dei giustiziati in quelle terribili ore) e il recente sfuggire alla volontà schiacciante del nonno paterno che non voleva neppure che sposasse la ragazza che aveva scelto in moglie perché ‘di rango sociale inferiore’. Nel libro non appare alcuna particolare riflessione sul colonialismo e la vicenda s’arresta prima della nascita della scrittrice, già nati i suoi fratelli. Ma della famiglia di Patrick se ne vorrebbe leggere ancora…