#Nonleggeteilibri – Philip Roth, ritorno alle origini
(Serena Grizi) I fatti. Autobiografia di un romanziere (titolo originale: The Facts. Novelist’s Autobiography) di Philip Roth, Einaudi 2013 traduzione di Vincenzo Mantovani € 11,50 isbn 9788806222925 e-book € 7,99. Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net .
Intorno ai 50 anni P. Roth, scomparso nel maggio del 2018, sembra decidersi a ‘scoprire’ i trucchi del mestiere di romanziere, o almeno così devono aver pensato i lettori: l’autore raccontando interi passaggi della propria esistenza rivelava a quali episodi aveva attinto per costruire i suoi romanzi e di questi ultimi sarebbe balzata agli occhi la parte creativa laddove la storia non avesse aderito del tutto al vissuto. Ammesso che un ricordo ‘oggettivo’ del vissuto esista se non abbellito o peggiorato dal passare del tempo e che un romanzo debba per forza essere la trasposizione dell’esistenza, anche, o soprattutto, per un autore che aveva fatto degli alter ego una regola. Roth pare fosse reduce da un brutto esaurimento nervoso e ricordare come erano andati i fatti poteva essere lenitivo, anche, per mettere a tacere le malelingue. Così Roth ci racconta un’infanzia e una gioventù più normali di quelle di Portnoy soprattutto in una famiglia ebrea-americana ma meno nevrotica di come deve esserci sempre apparsa, per avere un riferimento anche visivo, da Radio Days di W. Allen, in avanti: suo padre riesce a fare una qualche carriera nelle assicurazioni nonostante il pregiudizio razziale (la compagnia si rivela meno peggio del previsto), sua madre è una donna la cui posata dignità la rende elegante, adatta, in ogni ambiente. Racconta poi vicende d’una donna e d’un matrimonio a tratti non dissimili da quelle narrate in Quando lei era buona o in La mia vita di uomo. Nella realtà descrive come il giovane e brillante professore di scrittura e letteratura che credeva d’accaparrarsi una preda sia divenuto preda egli stesso; colui che era capace di leggere uno status sociale o un nodo psicologico dai tratti del volto si ritrova ‘prigioniero’ d’una situazione amorosa e familiare, oltre che per spirito d’avventura, per inesperienza. Fra le pagine amicizie, anche con gli insegnanti del campus e loro famiglie, Roth è un allievo molto capace, altre storie d’amore e una vita che oggi non può non apparire straordinaria. La società formava i giovani e poi riconosceva i meriti di chi sapeva distinguersi. Fra le righe del racconto anche ritratti di uomini che hanno fatto la storia con cui si trova in contatto:«Era sicuramente una figura politica costruita a misura d’uomo (è Robert Kennedy 1925-1968 n.d.r.), e così, la sera del suo assassinio e nei giorni seguenti, l’impressione fu di aver assistito alla violenta eliminazione non di una forza monumentale, come King, che lottava per la giustizia e per il cambiamento della società, o della possente incarnazione delle enormi sventure di un popolo, o di un titano della religione, ma piuttosto di un rivale: un fratello vitale, imperfetto, egoista, aggressivo, ricco di talento e con i nervi a fior di pelle, capace di essere tanto sgradevole quanto era rispettabile.» e proseguendo ancora per sole 8 righe scrive ciò che centinaia di pagine di giornali e rotocalchi dell’epoca si affannavano a cercare di cogliere nei membri della famiglia Kennedy, scambiando la vitalità per scandalo e l’incapacità di vivere nell’ingiustizia palese per eroismo. La capacità di descrivere l’umano attraverso i contrasti si produrrà felicemente anche nell’autobiografico Patrimonio, nel breve romanzo Everyman. Alla fine di questo passaggio Roth pone una frase, lapidaria, che pare mettere la parola fine alle sue pene amorose protrattesi per molti anni, e decine di pagine, ma non basta. Nell’ultimo capitolo del libro l’autore intende sovvertire completamente il senso di quella che sembrava quasi una confessione col ‘cuore in mano’, pubblicando la spassionata lettera di Zuckerman (come al solito scatenato). Zuckerman processa contenuto e stile delle pagine precedenti. Si interroga su plausibilità e verosimiglianza di quanto letto e si dice preoccupato paventando la propria misera fine di alter ego: una carriera di uomo con famiglia distrutta dalla mania per l’autobiografismo del suo proprio ‘padrino’. Il cambio di prospettiva è assicurato, così come il divertimento puro, poiché è facile dimenticare che Zuckerman vive sempre e solo per mano di Roth.
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