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#Nonleggeteilibri – “Morte a credito”, l’umano e l’impensabile, oltre il ‘900…

#Nonleggeteilibri – “Morte a credito”, l’umano e l’impensabile, oltre il ‘900…
Novembre 05
12:38 2023

«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)  

(Serena Grizi) Morte a credito (titolo originale: Mort à crédìt) di LouisFerdinand Céline, Garzanti ed. 2017 – traduzione di Giorgio Caproni € 22,00 isbn 9788811683469, e-book 11,99. Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR https://sbcr.comperio.it/

Da lettori, ricevuta la sterminata biblioteca del mondo, siamo costretti a scegliere a chi dedicare il nostro tempo. Non è mai una scelta facile e ci chiediamo spesso quanti libri tralasciamo e ci piace pensare, anche, a quanti volumi oltre le 400/500 pagine abbiamo dedicato del tempo e perché.

Superata la curiosità iniziale, magari con Viaggio al termine della notte (e che soddisfazione) LouisFerdinand Céline lo si legge forse perché nella sua scrittura racchiude interi universi di miserie e nobiltà dell’essere umano in uno stile perfettamente farfugliante quando serve che lo sia, addirittura lirico, se esiste una lirica del sentimento di perdita continua. Céline lo si legge anche per le sue rabbie e, di sicuro, per la comicità pura che sa infondere alle scene. Bellezza e nequizie si mescolano in parti uguali, forse un po’ sbilanciate sulle seconde. L’autore resta lo scrittore degli infami libelli antisemiti e la prefazione dello scrittore Carlo Bo a questa famosa edizione non può non fondarsi sullo scandalo che accompagnò per tutta la vita lo scrittore.

Due capolavori in uno in Morte a credito: il romanzo e la traduzione del poeta Giorgio Caproni, non ancora superata fino ai giorni nostri. Per saperlo non occorre conoscere l’originale né sapere se l’autore abbia scritto proprio così: basta quella sensazione, quel soprassalto davanti al testo nel pensare che prima di tale lettura non s’era mai ben frequentato il vocabolario italiano, davvero; o che si conoscano poche parole e che il miracolo dei nostri dialetti parlati e scritti traduca l’argot o altri idiomi francofoni.

C’è la confusione totale delle scene vere o inventate da quel ‘gaglioffo’ di Ferdinand e tradotte in pagine dove non c’è un vocabolo uguale all’altro, i puntini di sospensione non si vedono più né alcun altro segno di interpunzione perché si vive il caos, veri momenti di carnevale esistenziale. Ferdinand è davvero un bambinello sfortunato: prende scappellotti e sberle a tutto andare dal padre nervoso, un po’ artista mancato un po’ schiacciato dal solito lavoro d’ufficio alienante e ama, quasi sempre, la sua mamma claudicante che si divide, anche lei, fra le sberle del marito e l’educazione al pargolo: sono un capolavoro nel capolavoro le pagine della visita alla zia e i giri da mattina a notte fonda che la trasferta da questa zia comporta. Ferdinand è sempre innocente ma si ritrova sempre in mezzo a dei guazzabugli inusuali, e così per tutta l’infanzia e l’adolescenza accompagnato dalla totale sfiducia paterna e dalla continua ansia materna. Le avventure sono simili a quelle di Pinocchio, cosa che ci fa crescere la stima nei confronti di Collodi, o viceversa, perché pure Ferdinand non è né lavativo né disonesto ma ci mette del suo nel ciondolare e, non conoscendo le mille pieghe dell’esistenza, chiacchiera/spiffera, troppo, con tutti. Nella prima edizione di Morte a credito alcune pagine vennero stralciate dalla censura e abilmente Caproni le reintegra fra parentesi quadre, va da sé che pure nel delirio totale del racconto, leggerle è puro divertimento: è nelle descrizioni di scene promiscue che si ritrova il miglior Simenon dei romanzi oltre il ciclo dei Maigret e il miglior Zola, possibile ‘nonno’ letterario dei due scrittori, del ciclo Rougon-Macquart (1871-1893). Céline non ci porta con sé nella vita di tutti i giorni per cinquecento pagine ma ce ne da alcuni saggi strabilianti buoni da moltiplicare per i giorni dell’anno. La famiglia è culla d’ogni malefatta e cattiveria ma spesso è anche riparo e l’autore che lo racconta come si trattasse del negativo d’una foto: non c’è pace fra le quattro mura ma ce n’è di più che nel maledetto mondo malefico dove tocca guadagnarsi il pane con fatica e incontrare gente ‘laida’ d’ogni sorta fra cui i capisaldi del fallimento qui squadernati in più personaggi memorabili da padre Gorloge, al signor Merrywin, all’inventore Roger-Marin Courtial des Pereires. Quest’ultima lunga parte s’infila nella memoria del lettore come una spina nel fianco descrivendo come si viveva d’espedienti e di continue piccole glorie, e andirivieni di denaro, al centro di Parigi, un secolo fa. Così, pur comprendendo il giudizio esposto nel suo saggio critico d’introduzione da Bo: «un’opera straordinaria di ricognizione umana che non ha avuto seguito» poiché «per definire un dominio, per tracciare dei confini è indispensabile un minimo di libertà e di indipendenza, un momento di sosta», oggi lo scrittore, posto davanti al finire d’un’epoca fra nuove scoperte e l’avanzare della rivoluzione industriale, ci appare, in alcuni tratti, fratello di esperienza nello sguardo verso lo stravolgimento epocale che ‘la macchina tecnologica’ sta portando all’intelligenza umana: travolgendola con una tecnologia forse utile ma irragionevole, poiché si desidera non sia ragionata, i cui scopi non sono nelle mani dei molti ignari consumatori finali; verso il baratro di una doppia intelligenza (artificiale) nutrita (anche) da nozioni, astrazioni e concetti male interpretabili se non in seno alla complessità di cui è fatto il mondo. Nell’irragionevolezza di guerre di carne e sangue per chi le subisce direttamente e del tutto astrattamente mediatiche per le masse costrette a guardarle: «Ah! Divertirsi con la propria morte mentre uno sta fabbricandosela ecco tutto l’Uomo, Ferdinand!» esclamava il navigato medico Gustin Sabayot al più giovane collega Ferdinand, nel romanzo. La speranza nella ragione dell’intellettuale della seconda metà del ‘900 Carlo Bo, s’estrinseca meglio quando scrive che Morte a credito è: «una delle proposte più forti che il secolo abbia registrato sul suo libro dei conti», essendo capace di continuare a parlarci ‘fuori dai denti’, anche in questo disastrato presente, nel quale spesso ‘la macchina’ impedisce/vuole impedire di fermarsi a pensare…    

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