#Nonleggeteilibri – L’ibisco viola: il colore di chi si libera…
(Serena Grizi) L’ibisco viola (titolo originale: Purple Hibiscus) di Chiamamanda Ngozi Adichie, Einaudi 2016 traduzione di Maria Giuseppina Cavallo € 12,00 isbn 9788806229924 e-book € 6,99 disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net
La famiglia di Kambili e Jaja è una famiglia nigeriana: fratello e sorella giovani studenti, una madre silenziosa e arrendevole quanto basta e un padre imprenditore e fervente cattolico che preferisce l’inglese dei colonialisti alla sua lingua madre: lui è il padre delle contraddizioni, poiché difende la democrazia attraverso lo Standard, un giornale di sua proprietà, ma non accetta né canti nè preghiere igbo, la etnia di appartenenza, né lingua madre se non quando è arrabbiato. E lo è spesso: in casa è un padre padrone che non concede deroghe al fervente cattolicesimo e alla sua idea di educazione rigorosa con preghiere di venti minuti prima dei pasti principali, silenzio a tavola, richieste d’obbedienza cieca, e botte, lo si scoprirà quando queste porteranno sua moglie a perdere un bambino in arrivo e la giovane Kambili quasi in fin di vita. Il cuore del romanzo, però, non è questa famiglia perfetta fuori e profondamente infelice dentro, ma la vita che i ragazzi troveranno a casa della zia Ifeoma, sorella del padre, insegnante universitaria e molto meno benestante, dalla quale il padre li manderà a vivere alle soglie del colpo di stato e presentendo pericoli e ritorsioni per la stampa libera. Le emozioni forti, di pancia, che Kambili conoscerà in questa nuova famiglia, con tre cugini due dei quali quasi coetanei con lei e suo fratello, la libertà d’espressione che si respira in casa; la responsabilità personale richiesta a tutti loro invece della educazione rigida, l’allegria a tavola, le preghiere con i canti tradizionali e l’incontro d’amicizia e affetto, per la prima volta, con un ragazzo solare e schietto, che non le lesina fraterne tenerezze comprendendone l’adolescenziale invaghimento, pur essendo un prete convinto della propria missione, cambieranno per sempre la vita di tutti. Quella del più piccolo Jaja, che aveva già sofferto duramente la cattiveria del padre, e la vita dei cugini che vedranno rifiorire lo spirito presente nelle anime di questi due coetanei costretti al silenzio contro la loro natura. Sullo sfondo la Nigeria dei cambiamenti, uno di quei Paesi, di cui nei decenni non è diminuito l’elenco, sempre in bilico tra ricerca di libertà, tradizione e ritorno alle ‘maniere forti’ di padri/governanti corrotti. Nel mondo dei padri padroni, nella famiglia patriarcale legata, spesso, da dialettiche tra forza e sottomissione, che ormai pare sopravvivere con difficoltà così come l’idea di una società retta da contraddizioni e immense diseguaglianze, anche cambiare il colore tradizionale d’un fiore può presentarsi coi contorni d’una piccola rivoluzione e Il colore viola (1985) è anche il titolo d’un famoso film di S. Spielberg, storia di donne che si autodeterminano con le strepitose W. Goldberg e O. Winfrey. I colpi di scena finali di questa storia toccante e profonda, foriera di nascita e rinascita di personalità e sentimenti, profumata dai continui riferimenti dell’autrice agli alberi, ai frutti della terra e alla loro trasformazione in cibo, consumato attorno a un desco che determina prima nel male e poi nel bene i ruoli di quanti vi siedono (compreso un indimenticabile nonno, figura quasi scolpita nel legno d’Africa che racconta fiabe semplici e magiche), la consegnano semplicemente al romanzo, chiudendo così un cerchio: suggerendo che l’oblio del passato è negativo ma l’esercizio esagerato del ricordo negativo non fa crescere, non porta con sé né frutti profumati né i nuovi fiori dell’ibisco viola. In nuovi giardini della mente.
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