#Nonleggeteilibri – “Il mercante di coralli”: pesca miracolosa di personaggi, atmosfere e dramma
«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)
(Serena Grizi) Il mercante di coralli di Joseph Roth, Adelphi 2018 traduzione di Laura Terreni e di Chiara Solli Stauder € 12,00 isbn 978884932793 e-book € 6,99. Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net
Conversando di scrittori è facile che s’incontrino estimatori di Joseph Roth. È una osservazione personale ma lo scrittore austriaco è riconosciuto unanimemente dai lettori per la sua grandezza nelle descrizioni come nella conoscenza dell’animo umano. Per saggiarne stile e forma niente di meglio che i racconti, difficile banco di prova per ogni scrittore, attualmente piuttosto graditi dai lettori, come quelli raccolti nel volume Il mercante di coralli: il titolo che lo stesso Roth scelse nel 1934 per l’ultima novella che dà il titolo alla raccolta e che nella pubblicazione postuma del 1940 apparve con il titolo Il Leviatano. Non è possibile distinguere se è da particolari come questo che si alimenta la leggenda d’uno scrittore: lui stesso che sembra scegliere una strada lineare nel narrare, e il lettore, compreso l’editore, che attribuisce a questa semplicità, invece, una pletora di significati diversi, veri o presunti che siano. Difficile anche dire se la formula del suo successo sia invece la magia buona contenuta nella cultura degli ebrei della Galizia (si pensa presto a Bruno Schulz, scrittore e incisore), una cultura mitteleuropea che si nutriva di sapienza nella descrizione della realtà ma anche della capacità di far divenire mitiche alcune figure della narrazione attraverso l’inserzione d’ombre costanti, o crepe invisibili ad occhio nudo, che sembrano pedinare ogni esistenza, anche la più specchiata o al limite del noioso. Le opere giovanili, i racconti qui raccolti sono stati scritti in vent’anni tra il 1916 e il 1939, propendono più per una minuziosa cronaca di giornate e caratteri, supportata da quella che sembra una profonda conoscenza dei meandri dell’animo umano come ne L’allievo modello, sorprendente ne Lo specchio cieco, mentre ‘dipinge’ la sfortunata esistenza della giovanissima Fini, invecchiata prima di crescere; o in Aprile, la storia di un amore, nella quale lo scrittore adombrava, forse, il proprio desiderio giovanile di cercare radici sperando di non trovarne, nella storia d’un giovane all’apparenza scontento per non aver conquistato la ragazza di cui è innamorato, in realtà sollevato che non sia accaduto così da poter lasciare la provincia nella quale si sente confinato per andare in America (qui ricordando quasi un inquieto Céline). Lo scrittore più maturo ne Il capostazione Fallmerayer lavora già alle figure mitiche di uomini che per seguire un loro filo interiore, che non appariva in origine meno labile di altri, cambieranno completamente le loro esistenze come ne La leggenda del santo bevitore o ne Il Leviatano, fino ad una morte che sembra sopraggiungere a salvarli anche dall’ultima scelta fatta. Proprio La leggenda del santo bevitore, nel 1988 divenne un fortunato film di Ermanno Olmi, protagonista lo straordinario Rutger Hauer, misurato nella recitazione come chiedeva un racconto tanto misterioso e ben scandito: il film risvegliò una grande curiosità nei confronti della produzione letteraria di Roth che, ricordiamolo, fu anche giornalista. Nel suo narrare coesistono l’evocazione di personaggi e di atmosfere fortemente reali eppure avvertite come perdute per sempre e un succedersi di avvenimenti incalzanti che presto trasformano ogni cosa in azione: questa sembra la formula per una perfezione che continua a destare meraviglia.
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