#Nonleggeteilibri – Il ‘daimon’ di Michela Murgia in Accabadora…
«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)
(Serena Grizi) Accabadora – di Michela Murgia, Mondadori Media/Einaudi/GEDI ed. 2023 – € 8,90 isbn 9778142223007, e-book € 7,99 (anche audiolibro). Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR https://sbcr.comperio.it/
Ogni scrittore è mosso da un proprio daimon, con buona pace di chi non considera l’anima, ma questo non è sempre immediatamente individuabile se non quando lo scrittore parla di sé rompendo, magari, ‘il giocattolo’ perfetto della propria scrittura per consegnare al lettore qualcosa di diverso: viene in mente la scoperta della costruzione del ‘realismo magico’ in G. G. Márquez attraverso Vivere per raccontarla, l’autobiografia che consegnò alle stampe nel 2002, nella quale si rintracciano perfettamente tutti i motivi/meccanismi di Cent’anni di solitudine, ma alla luce del giorno. E non è che senza questo disvelamento l’opera sia meno opera, forse resta solo più misteriosa e prodigiosa per molto tempo. Anche qui Michela Murgia adotta una sorta di realismo magico che trasfigura personaggi e luoghi della Sardegna in qualcosa di archetipico e sentir parlare di jeans e tv potrebbe appartenere ad uno stratagemma steampunk (genere fantastico che mescola più epoche in un solo presente), mentre alcune chiavi di lettura ci sembra di possederle dopo che l’autrice ha raccontato pubblicamente gli ultimi mesi di vita in seno alla propria famiglia queer; si è rilevata raccontandoci un bel po’ del suo daimon, del suo destino e dei talenti posseduti per affrontarlo.
Qui c’è l’autrice che cambia famiglia, anche se nella realtà non abiterà con una accabadora come nel romanzo, una donna ‘che finisce’, presenza ieratica e severa che nella tradizione isolana avrebbe aiutato persone tenute in vita solo da sofferenze indicibili ad abbandonare questo mondo. La protagonista è Maria adottata come ‘figlia d’anima’/fillus de anima dalla benestante Bonaria che la farà sentire per la prima volta importante sollevando una madre di troppi figli, ormai vedova, da cui non era desiderata. Seppure colta da questa fortuna, dopo alcuni fatti tragici, Maria, ormai adulta, dovrà trovare il coraggio di allontanarsi dall’isola (e qui forse c’è un altro tratto autobiografico dell’autrice) e trasferirsi a Torino per tenere compagnia, oltre l’orario scolastico, a due ragazzini di famiglia agiata: la sua forza drammatica le consentirà di uscire da un travaglio per entrare in un altro. È giovane ma molto responsabile e così riuscirà a venire a capo di una storia terribile che tormenta uno dei suoi protetti e a mantenere il proprio ruolo senza doversi vergognare dei propri sentimenti, divenendo finalmente adulta e, forse, capace di essere madre d’anima a sua volta, come poi è stata nella realtà Murgia. Maria potrà perdonare, perdonarsi, e capire che un destino eccezionale ha già attraversato la sua strada? Il libro consegna una scrittura accattivante ed una trama che favorisce una lettura immersiva poiché si resta prigionieri di un’atmosfera nuova e allo stesso tempo molto antica; l’azione sembra svolgersi sempre in penombra e i profumi dell’Isola e il mare, ciò che più appare amabile allo straniero, restano definitivamente sullo sfondo: contro il quale, invece, non restano le parole, le più antiche e le più nuove, quelle che definiscono in maniera potente una cultura coi suoi riti, le sue attese, le feste familiari, i furti di terra che scatenano faide, in un susseguirsi d’azione che è la vita contrapposta alla staticità della ‘non più vita’ di chi chiede la ‘dolce morte’. Murgia non si sofferma mai granché sul paesaggio, a meno che questo non diventi ombra dell’umano; preferisce farci scoprire cosa c’è dietro le facce a volte scavate, a volte senza espressione di questi isolani, duri solo all’apparenza, dalla favella scoppiettante quando occorre o muti davanti al fuoco dove, a tratti, pare di ritrovare le atmosfere della casa e del mondo di Efix in Canne al vento (1913) di Grazia Deledda. L’orizzonte di felicità da raggiungere è molto diverso da quello di un’opera scritta più di cent’anni fa ma i cuori e le menti, qui, sono ancora capaci di scendere in profondità al proprio desiderio rivelando come ‘scelta’ anche ciò che sembra accaduto per puro caso. Forse si dimenticherà presto fra le tante storie letterarie di quest’epoca, non è un volume ponderoso, ma possiede una sua forza intrinseca per cui trovandocisi dentro non si vorrebbe stare da nessun’altra parte: «Ogni volta che apri bocca per parlare, ricordati che è con la parola che Dio ha creato il mondo. A sei anni non si è molto ferrati in teologia, e infatti Maria non trovò una buona replica davanti al senso di quella frase, troppo grande per lei da cogliere per intero. Ma la parte che comprese fu più che sufficiente a giudicare se stessa, e mentre con le labbra strette provava ad annuire, Bonaria si sporse ad abbracciarla senza stringerla, come un bozzolo di seta con un baco dentro».
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento