#Nonleggeteilibri – I nostri giorni di annientamento…
«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)
(Serena Grizi) Giorni di collera e di annientamento di Francesco Permunian, Ponte alle Grazie ed. 2021 € 15,90 isbn 9788833316390 e-book € 9,99. Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net
Stavolta attraverso il narrato puro, l’autore racconta i guasti, degli ultimi anni: tra mondo editoriale, rappresentato dall’editor Don Fifì, che per ‘disgrazia’ ha vinto il Premio Strega costretto così ad occuparsi di lettere, suo malgrado, lui che aspirava a diventare ‘cantante confidenziale’ (alla Bongusto, per capirci, e senza disdegnare Califano) e gli unici peccati conosciuti dalla provincia italiota, così anche dalla mentalità bigotta, ma anche dalle scuole di scrittura (?)…quelli sessuali. L’autore che non è nel novero di coloro che stanno a guardarsi l’ombelico, coglie i segni dei tempi e così fra le righe dell’ultima fatica di Francesco Permunian, Giorni di collera e di annienta-mento, già in poche pagine emergono aspetti del nostro tempo che poi fra qualche anno chiameremo storia. Le botteghe di paese, da sempre ignorate, assieme ai frequentati caffè, sono il centro d’una vita per nulla trascurabile in un tessuto divenuto tanto effimero quanto quello provinciale e l’ultimo attacco a loro mosso è stato quello dell’inaspettato coronavirus che ha seminato morte, malattia o anche solo panico. Quanto sono cambiate le liturgie nella realtà a cui le varie scene s’ispirano, i tempi del Manzoni, a cui va il pensiero, non torneranno. Non torneranno nemmeno quelli della ‘scrittura degli scrittori’, sembra dirci l’autore, con buona pace di ognuno. Il libro descrive bene l’annientamento di molti aspetti della vita portato dalla pandemia, e l’inutile che può aver fatto emergere nel nostro odierno vivere. L’averne coscienza potrebbe far scattare una collera che se è chiara a Don Fifì, non lo è a molti altri, pure questa un sentimento troppo nobile… Letteratura antiborghese, la si sarebbe definita una volta, nella quale non si rinuncia ad alcuno sfondo scomodo, condito di scatologie varie, epperò continua a raccontarci qualcosa di come sanno guardare certi occhi di autori che amano di sicuro essere letti (altrimenti che inutile fatica sarebbe?) ma cercano di fare letteratura senza rincorrere i gusti piuttosto mutevoli del pubblico e di quest’epoca confusa e bombardata da pseudo informazione, pregna di pseudo valori. Poco lirismo stavolta, un fondo davvero inquietante corretto per quanto possibile da un divertimento unico…
«Eccoli dunque qua – mi dico – i miei compagni di lavoro, osservando i quali mi rendo conto che avrei fatto meglio, infinitamente meglio, a continuare a fare il cantante anziché lo scrittore. Sarei stato, quantomeno, un onesto cantante confidenziale, un solista alla Fred Bongusto di cui, con un po’ di fortuna, avrei raccolto nelle mie mani l’eredità artistica. Eredità raccolta invece dalle mani bucate di Franco Califano: lui rovinato da coca e stravizi, io dal Premio Strega! Oltretutto (e non è di poco conto), grazie ai diritti musicali garantiti dalla Siae, mi sarebbe toccata una vecchiaia più tranquilla. Meno insicura e famelica, è pacifico, della vecchiaia di qualsiasi redattore o scrittore italiano.»
«Da che mondo è mondo, la bottega di generi alimentari Da Piero è sempre stata la migliore bottega del paese. Una vera boutique del buongusto. Provvista di ampi scaffali e con una vetrina che dà direttamente sulla piazza, ora però è anche la meno frequentata. E la più chiacchierata: il signor Piero, contagiato dal coronavirus, anziché farsi ricoverare all’ospedale s’è volontariamente autorecluso nel suo negozio…».
« (…) don Stefano prese il posto che già fu mio. E a sua volta s’infilò, non senza imbarazzo, nel carrozzino di quella motocicletta alla cui guida sedette quel furfante di Panfilio Ciapin. Dopo di che i due presero a scorrazzare per le vie del paese opportunamente armati di pistole giocattolo con le quali, tenendosi a debita distanza, impartivano l’estrema unzione a suon di spruzzi e schizzi d’acqua santa. Lo facevano in ogni angolo del territorio comunale, compresi i casolari più lontani e isolati. E correndo a rotta di collo, va detto, onde arrivare sul posto prima che il moribondo di turno finisse nelle mani pietose – e interessate – degli addetti al Tempio Crematorio cittadino. Fu, in un certo qual senso, un’inedita gara tra monatti e religiosi del nuovo millennio. Ma fu altresì una faticaccia! Sempre in giro senza mai un attimo di riposo, visto che il coronavirus non concedeva tregua; visto e considerato, ripeto, che in quei dì di tregenda si stava tutti rimpiattati in casa aspettando che la peste venisse a ghermirti.»
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