#Nonleggeteilibri – Franny e Zooey, perfetto ineffabile Salinger
Franny e Zooey (titolo originale: Franny and Zooey) di J. D. Salinger, Einaudi 2014 traduzione di Romano Carlo Cerrone e Ruggero Bianchi € 10,00 isbn 9788806222161 e-book NO disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net
Franny e Zooey (1961) L’incredibile ritratto d’una famiglia americana della borghesia illuminata, borghese in parte visti i trascorsi da artisti del varietà di fama internazionale dei genitori dei sette fratelli Glass. Molto accade attraverso le voci dei due più giovani, i bellissimi e fragili Frances e Zooey, aspirante attrice la prima, attore il secondo: la prima ritratta mentre arriva alla stazione attesa dal fidanzato Lane e poi pranza con lui, il secondo nel bagno di casa mentre pratica la sua raffinata toeletta quotidiana…Se nel primo racconto si fa la giusta fatica per comprendere la distanza emotiva tra i due fidanzati animati da energie contrastanti (l’uno eccitato all’idea di passare un bel fine settimana tra sport e amore, l’altra è attanagliata da una forte crisi mistica per colpa d’una lettura accattivante); nel secondo racconto, si resta catturati dallo scoppiettante dialogo che avviene nella stanza da bagno tra Zooey e sua madre la quale, apparentemente rassegnata alla scomparsa del figlio più grande, suicida, avvenuta anni prima, non si rassegna alla perdita d’un altro figlio che pare viva isolato in un capanno senza telefono (il dialogo tra i due al proposito è esilarante per la pretesa della genitrice di torturare psicologicamente un figlio per le ‘colpe’ d’un altro) e neppure alla crisi ‘religiosa’, questo almeno lei crede, dell’ultimogenita, Franny. Zooey diventa il chelante di tutte le nevrosi materne e la gestualità, le pause, il non detto del dialogo ne fanno un imperdibile racconto da antologia, ed un efficace esercizio mentale poiché messi in queste condizioni i lettori non avrebbero che da girare su pellicola la scena, o riproporla in teatro tanto è perfetta, netta, umana, crudele, affettuosa, in una parola salingeriana… I ragazzi Glass, tutti reduci dal programma radiofonico a quiz ‘Ecco un bambino eccezionale’ intelligenti e brillanti da ragazzini con ottimo quoziente intellettivo, divenuti adulti autonomi e sagaci, sembrano non reggere, a tratti, all’impatto con la disonestà dell’esistenza, con la noia del quotidiano, con le mediocrità, la loro in definitiva, e quella del mondo, con cui dal loro alto ideale ‘culturale’ non si sarebbero mai aspettati di doversi misurare. Zooey, soprattutto, è capace di passare ai raggi X ogni rapporto familiare, ogni piega nascosta del detto e non detto, fino a frantumare, a favore della povera Franny, insicura sul futuro e prostrata da un mantra auto-impostosi, l’idea di essere stati plagiati dai fratelli maggiori, loro sì avidi lettori d’ogni libro sacro d’ogni religione conosciuta che si peritavano di passare in lettura ai fratelli minori (titoli in buona parte presenti nella formazione culturale dell’autore). Questa ‘pastorale americana’ senza nulla di pastorale però, (siamo nel pieno di interni metropolitani: prima un ristorante, poi il meraviglioso caos dell’appartamento dei Glass con tanto di pittori in giro per casa), si risolve al meglio pur possedendo i tipici elementi che porteranno al peggio quella che P. Roth scriverà 36 anni più tardi: genitori vincenti, in questo caso espressione della migliore cultura americana metropolitana, generano sette figli alcuni fra i quali non riescono a conciliare le due Americhe che si presentano ai loro occhi. Quella degli ideali della famiglia nella quale sono cresciuti, l’incapacità percepita d’una democrazia nel mantenere i principi della Costituzione che s’è data, la disonestà dell’insegnamento scolastico, la voglia di sottrarsi a tutto ciò (anche attraverso la perdita della vita), il ritiro in un sistema spirituale fuori dal mondo. La capacità di Zooey di rendere tutto un tragico gioco comico, tragico ma comico, nel suo spirito da commedia sgangherata, salva i Glass, almeno quel che ne rimane, dal pensiero dell’autodistruzione e della distruzione di tutto quel che non va (salvazione che non arriva nella Pastorale di P. Roth a causa d’un ulteriore scarto degli individui verso l’autocompiacimento e il nichilismo). Questo libro, come i dialoghi nei film americani degli stessi anni, resta un esempio di scrittura difficile da superare, esempio di tutto ciò che si può fare con le lettere a patto di non nascondere la bellezza estrema, la ferocia dell’esistere…«Sono convinta che se solo una volta ogni tanto (…) avessi sentito qualche garbato accenno, anche solo casuale, al fatto che la conoscenza dovrebbe condurre alla saggezza e che se non conduce alla saggezza è solo una disgustosa perdita di tempo, non mi sarei sentita così giù di morale! (…) All’università non ti accennano mai, nemmeno una volta che la saggezza dovrebbe essere la meta della conoscenza. (…) una volta sola a dottrine politiche, quand’ero matricola! E lo sai a che proposito? A proposito d’un vecchio politico rimbecillito che s’era fatto una fortuna giocando in borsa e poi se n’era andato a Washington come consigliere del presidente Roosvelt». Quella ‘Cassandra’ che riecheggia la voce di Holden Caulfield racconta ancora qualcosa d’attuale… Serena Grizi (Nell’immagine web J. D. Salinger 1919-2010)
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