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#Nonleggeteilibri – Cara mia, donne del Senegal

#Nonleggeteilibri – Cara mia, donne del Senegal
Agosto 29
18:09 2016

«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)

Cara mia (titolo originale: Une si longue lettre) di Mariama Bâ traduzione ed edizione curata da Touba Culturale Italy € 9 isbn 9788807031281; disponibile al prestito interbibliotecario ed. Modu Modu col titolo Amica mia SBCR www.consorziosbcr.net

Le storie di Ramatoulaye e dell’amica d’infanzia Aissatou, è la prima a scrivere una lettera alla seconda nei giorni del suo lutto per la morte del marito, hanno appassionato lettori fuori dai confini del Senegal dove sono ambientate. Molte donne e uomini potranno ritrovarsi facilmente nella scrittura spontanea della Bâ che trasporta i lettori nel quotidiano di due matrimoni felici e pieni di speranze. Ramatoulaye racconta il proprio, ma efficacemente narra la soddisfazione per quello dell’amica pur nelle difficoltà delle ‘prove’ sociali che le due donne dovranno superare: invidie e gelosie di parenti e amici, il carico familiare della famiglia dello sposo che pian piano si sposta sulle spalle della neo sposa, le tante maternità affrontate, e questo, come nel caso della protagonista, mentre lavora come insegnante, una vera fortuna peraltro, considerata la ristrettezza forzata dell’orizzonte femminile. Ramatoulaye racconta del prematuro funerale del suo sposo Moudu: costretta a sopportare elargizioni di mance alla vedova, per noi quasi incomprensibili, che poi per strani automatismi torneranno nelle tasche dei parenti dello sposo (in una consuetudine praticata di sicuro negli anni 50’); la casa aperta a chiunque per giorni e giorni nella quale il bivacco libero è considerato un onore alla vedova e non le è possibile chiudere la porta e starsene in pace perché sarebbe segno di scarso rispetto. Pian piano si entra nelle abitudini sociali che con l’etichetta della tradizione schiacciano l’individuo oltre ogni comprensione, almeno nella visione eurocentrica dei fatti, poi il nucleo del romanzo. Moudu aveva abbandonato l’amata sposa per prendere in moglie, in seconde nozze, un’amica di sua figlia; allo sposo di Aissatou, invece, era stata la madre stessa a mettergli nel letto una giovane cugina poiché aveva sempre disapprovato il primo matrimonio del figlio. Qui entra in scena, prepotentemente, la poligamia maschile con tutti i suoi riti, le possibilità per lo sposo, le difficoltà di due donne, ancora innamorate e tradite, con l’unico appoggio di un lavoro che le rende, almeno, meno povere della media delle donne del loro Paese. La Bâ consegna ad Aissatou il ruolo della donna che si ribella completamente a questo stato di cose e dopo l’abbandono ricomincia una nuova vita; a Ramatoulaye lascia l’analisi e la comprensione profonda dei fatti e molti passaggi politici nei quali l’autrice, scomparsa prematuramente nel 1981, scrive il proprio testamento morale alle donne d’Africa. Ramatoulaye conoscerà ancora la difficoltà di comprendere la mentalità delle nuove generazioni attraverso i suoi figli e, infine, la corte insistente di molti pretendenti. Le descrizioni della Bâ sui malesseri che hanno afflitto il ‘900, e in parte informano ancora famiglia e società contemporanee, rivelano grande capacità di osservazione ed un intuito quasi ‘magico’. La dolcezza non lascia mai le sue pagine e anche nei passaggi più drammatici la ragione, scevra da superstizioni, è magnifica consigliera. Bello! (Serena Grizi)

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