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#Nonleggeteilibri – Arsenale di Roma distrutta, l’anticonformismo…che c’era

#Nonleggeteilibri – Arsenale di Roma distrutta, l’anticonformismo…che c’era
Luglio 03
09:53 2021

«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)

(Serena Grizi) Arsenale di Roma distrutta di Aurelio Picca, Einaudi ed. 2018 € 16,00 isbn 9788806234614 e-book € 9,99. Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net

Della bella scrittura di Aurelio Picca, del ritmo, della ricerca della parola, della poesia di molte situazioni e frasi che si genera da epifanie per sottrazione della cronaca esatta e spiccia dei fatti, come fossero fendenti fra le righe di inchiostro sulla carta, prima o poi qualcuno ne scriverà lungamente, oltre il già scritto, e meglio di me. Il ritratto spietato e nostalgico che l’autore fa di Roma e della sua propaggine naturale, per pose e imitazione, che sono i Castelli Romani lascia dubbiosi, carichi di energia, e in qualche modo felici. L’autore o il suo alter ego che sia, si muove famelico e ‘nuovo’, è giovane, giovanissimo, in un mondo di periferie, centro città, bar coi loro cocktail, fumo, e spiagge, strade, stazioni, marciapiedi, manigoldi col codice d’onore e il cuore ancora incastonati addosso come le gemme amate dall’autore; morbidi certe volte come velluti francesi, altre duri, appunto, come le pietre ancora da tagliare. Quel che impressiona me, noi che arriviamo appena una decina d’anni dopo l’autore che racconta fatti di cronaca nera, sfiorando la politica, ammiccante ora come allora alla malavita (obbligata a volte ‘ad utilizzarla’), ma che glissa sulla Banda della Magliana (ne hanno parlato tutti, anche troppo), è che la mattina molti di noi sentivano i marciapiedi, i bar, le piazze, i vicoli di Roma, dei Castelli, bollire della vita che di notte là si consumava ma non ne potevamo conoscere molti retroscena essendo ragazzini o adolescenti. Eppure, senza sapere, da fratelli e cugini più piccoli, subimmo un po’ la fascinazione di quei caffè dove poteva accadere di tutto, i delinquenti giocavano a stecca e bevevano super alcolici di pomeriggio fumando senza remore; il fascino della libertà delle spiagge di Sabaudia e Sperlonga, che oggi sono dominio delle famiglie, l’attrazione della strada e di qualche pianista di piano bar che di notte faceva il doppio lavoro, musica e affari vari, dormendo di giorno. Non sapevamo tante cose ma respiravamo quell’atmosfera diversa alla quale il ‘diverso’ di oggi, giusto e indaffarato a chiedere diritti alla luce del sole, gli fa un gran baffo. I ‘divertimenti’ odierni, a guardarli adesso, impallidiscono fino a sbiadire, scomparire, se si riesce a capire che tentano tutti di scimmiottare gli eccessi e il lusso di allora, riuscendoci male, perché di allora mancano gli ingredienti principali: gioventù, l’Italia negli anni ’70 era statisticamente più giovane; denaro, forse si era meno ricchi di adesso ma il contante fluiva appresso all’acquisto d’impeto (sostanza, auto, abito o gioiello che fosse); una forte, feroce, fame di futuro, oggi quasi al palo. Oggi, com’è giusto che sia, si sono individuate molte storture del ‘sistema divertimento notturno’: la poca sicurezza di discoteche e locali, le bevande che tolgono la capacità di intendere e di volere, la maggiore tracotanza d’una delinquenza diffusa che vuole tutto e subito. Ma è anche come se oggi tutti, studenti o impiegati, dalla vita generalmente tranquilla, cercassero lo sballo pericoloso, ‘divertente’, da fine settimana e poi non potessero/sapessero farsi carico delle conseguenze, dei guai, che si sono andati cercando, mentre si potrebbe semplicemente ammettere che per stare bene (se non si ha né il fisico, né l’età, né la testa per correre in auto, sballarsi, fare troppe conoscenze promiscue) ci si può semplicemente sedere davanti ad un aperitivo a chiacchierare con gli amici. Gli uomini e le donne di Picca sono interiormente ed esteticamente tutti diversi: non esiste un conformismo del carattere o dell’apparire. Il malvivente può essere spietato ma molto attaccato alla propria famiglia, basso, alto, stupido a volte, generoso o no; le donne sono formose o slanciate e dai capelli cortissimi, non sempre innamorate per abbandonarsi al sesso; non figurine tutte uguali dietro l’influencer di turno (quelli/e che non sanno che anche per mascherarsi occorre sapere che si sta facendo);  chi ha orientamenti sessuali diversi è chiamato con nomi e nomignoli da sempre utilizzati a Roma e dintorni, senza ab-uso del politicamente corretto e la virilità, l’atteggiamento ruvido di un uomo, non può ferire nessuno se il suo essere è fatto pure di cervello e cuore. L’orrore dei rapimenti e dei crimini degli anni ’70 resta, l’autore scova d’ogni cronaca, sembrerebbe, il tratto saliente, ma tutto faceva più scalpore perché non era ancora passato come tratto ‘d’abitudine’. I ragazzi di Picca, non sempre di strada, alcuni piuttosto benestanti fra cui il protagonista del libro, così diversi dai ragazzi di Pasolini a momenti sembrano pensare ciò che scriveva il poeta ne Il canto della scavatrice: «Stupenda e misera città,/che m’hai insegnato ciò che allegri e feroci/gli uomini imparano bambini,/ le piccole cose in cui la grandezza/della vita in pace si scopre, come/andare duri e pronti nella ressa/delle strade, rivolgersi a un altro uomo/senza tremare, non vergognarsi/di guardare il denaro contato/con pigre dita dal fattorino/che suda contro le facciate in corsa/in un colore eterno d’estate;/a difendermi, a offendere, ad avere/il mondo davanti agli occhi e non/soltanto in cuore, a capire/che pochi conoscono le passioni/in cui io sono vissuto:/che non mi sono fraterni, eppure /sono fratelli proprio nell’avere/passioni di uomini/che allegri, inconsci, interi/vivono di esperienze/ignote a me.

Lo spunto letterario suggerisce un’interessante riflessione sull’uomo nuovo, contemporaneo, che per essere più giusto e aperto, e femminile, non è detto debba abdicare a se stesso, oltre che uno sguardo ulteriore su Roma, città eterna, eternamente ferita. Fra le righe di Picca ci si diverte molto perché la corsa fra gli anni è ricca di vita, girandole di volti, pugilato, abiti, auto, quasi il copione già pronto per un film in cui sarebbe difficile ‘copiare’ lo stile: «Non sapevo che Roma avesse un’astronave. Con quella massa di uomini col fiato puzzolente e i denti d’oro, imbevuti di Vecchia Romagna, Sambuca, Mistrà e Strega, vidi il Palasport adagiato sopra il laghetto dell’Eur. Brulicava una folla in bianco e nero che pigiava nella pece della notte con l’umido del lago che pareva un buco di petrolio o lo stagno con la barchetta che naviga in acque più profonde dell’Atlantico.»

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