#Nonleggeteilibri – Antunes, dissonanze e il gran circo della vita
«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)
(Serena Grizi) Spiegazione degli uccelli (titolo originale: Explicação dos Pássaros) di António Lobo Antunes, Feltrinelli ed. 2020 traduzione di Vittoria Martinetto € 12,00 isbn 9788807893339 e-book NO – NON Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net
Quattro storie diverse, o quattro tappe dell’esistenza del protagonista Rui: infanzia e gioventù in una famiglia alto borghese, un primo matrimonio con Marília, borghese anch’esso, finito per incompatibilità (lei è decisionista e colleziona porcellane); il secondo matrimonio con Tucha, compagna di vita e politica, che sta per finire (la loro casa è ridotta una discarica, alla fine lei lo disprezza perché è un alto borghese). Il quarto momento è il narrato dentro se stessi, tutto ciò che il protagonista non ha ottenuto e quel che invece sì: la carriera di professore, i rapporti con la famiglia, i consigli, i ragionamenti, i sì e i no dei familiari, della sorella ‘buona’, che cerca di mediare col padre e la madre che lo disapprovano, quella più critica, i cognati. Le passioni del padre, oltre il lavoro, le sue ‘fisse’ monotematiche, come quella per le collezioni di insetti e gli uccelli (impagliati, trafitti, mummificati?). Tutto questo Antunes lo fa con una sola voce, anzi cento, mettendoci pure un gran circo dell’assurdo che con una orchestrina, saltimbanchi e clown sottolinea i momenti topici, più importanti, i gangli che tormentano il protagonista, che, senza saperlo, a quanto pare va trascinandosi verso il giudizio finale, se non verso la fine del secondo matrimonio o forse addirittura verso la propria morte. Seppellito, fuori Lisbona, forse, là verso le sabbie limacciose del fiume Vouga e le zone basse e paludose dell’Aveiro, la laguna presso la quale sorge la locanda dove s’è diretto per passare tre o quattro giorni, e che paiono ingoiarlo, e intanto lo invogliano alla confessione, alla disamina di se stesso, più fonda. Il circo che lo acclama e lo dileggia è di natura cinica, giudicante, non lascia sfuggire nulla, è un po’ il nuovo coro da tragedia greca.
La scrittura di Antunes è una meraviglia a orologeria, ma può essere stancante, anche se il filo del narrato lo tiene l’autore e nella lettura fluisce proprio come il fiume amato dal protagonista. Ma è così, fino all’ultima riga: circo, flusso di coscienza, dialoghi e particolari sordidi, pensati apposta per sotterrare e rendere inutile qualsiasi ricerca d’una logica nella lettura d’una esistenza, quella che sembra essere trascorsa fra errori e negazioni della propria volontà, ma forse anche di tutte le altre…. Fino all’ultima riga lo stile ha una sua fascinazione, complessa, mai inutile, è portante nella scrittura, eppure anche il senso non scarseggia mai, perfino dove sembra delirio. Facile riscontrare, concludere, che l’umano pensare somiglia molto più a questo avvenimento rapsodico che ad un filo unico: poiché la mente segue i propri pensieri, sempre, in ognuno, ma gli occhi continuano a immagazzinare particolari ed anche il ricordo pare non poter seppellire alcun affronto, alcuna offesa, alcun dispiacere. Forse da una lettura così non se ne esce felici, come potrebbe accadere col realismo magico, ma con un forte senso di ridimensionamento del valore del libero arbitrio: ogni vita pare scorrere assieme alle storture del mondo, alimentandole a sua volta; l’impressione che si ha leggendo l’altro grande portoghese, José Saramago o il prezioso peruviano Mario Vargas Llosa de La città e i cani. Se ne può uscire sorpresi, madidi, come dopo una pioggia scrosciante, di cui non s’è potuta evitare una sola goccia, ché anche questa sia l’umanità, il mondo, l’unica astensione imperdonabile non intervenire con la ‘propria voce’… «Lì c’erano le pesanti copie di pittori antichi, gli occhi liquidi di santi seminudi che gli avevano avvelenato i soufflé dell’adolescenza, il campanello a forma di contadina con la gonna a palloncino, di cui la madre si serviva per i suoi ordini senza replica. Pensa. Vent’anni e più di pasti impagliati, di discorsi autoritari, di secche lezioni di belle maniere per addestrare i cani.»
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