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«Non tutti i protagonisti sono adatti per tutte le narrazioni», il caso Fazio

«Non tutti i protagonisti sono adatti per tutte le narrazioni», il caso Fazio
Maggio 15
18:06 2023

L’addio alla Rai Tv del giornalista ed intrattenitore Fabio Fazio era nell’aria, complice, forse, anche una lieve ‘stanchezza’ del format a cui è legato “Che tempo che fa” e la ripetitività di alcune idee di base. «Non tutti i protagonisti sono adatti per tutte le narrazioni», ovvero, quando non ci si sente ‘uomini/donne adatti a tutte le stagioni’ il mantra che accompagna l’arrivederci alla Rai, la quale non rinuncerebbe ad uno dei suoi ‘mezzibusti’ di punta, ma da eterna lottizzata deve rispondere ai ras di passaggio in ogni epoca politica. Che poi cosa faceva di male Fabio Fazio? Trattare benissimo l’ospite in presenza, chiunque esso fosse, tanto da meritarsi l’attributo di ‘prete, sacrestano, buonista’ da parte dell’autrice e comica Luciana Littizzetto, ed in effetti era così; chi non andava, non è mai andato, in trasmissione a farsi intervistare era perché non aveva nulla da dire poiché è certo che Fazio, nella sua correttezza professionale, non avrebbe impedito ad alcuno di esprimere completamente e largamente il proprio punto di vista. Maltrattato invece, a volte, o ignorato, dagli ospiti, proprio a causa della propria malleabilità (ricordiamo un recente ‘freddo’ Moretti oltre a qualche personaggio davvero antipatico, non più vivente, che si prestò ad essere intervistato dal conduttore in quella sua maniera ‘possibilista’ e che non volle rispondere ad alcuna domanda in preda a grande stizza…): malleabilità, almeno apparente, non certo frutto di poche idee ma di profonda educazione e rispetto per l’ospite di ogni provenienza. Certo, Fabio Fazio ha sempre impresso un’impronta davvero politica, non partitica, al programma: non seguendo mai pettegolezzi del momento o notizie scandalose, o influencer, se non per scherzarci su; invitando Roberto Saviano a parlare di mafia e camorra e d’ogni male d’Italia, assieme a molti altri protagonisti, fra giudici e magistrati, del nostro tempo; ogni sorta di scrittore/scrittrice, scienziato, studioso a proporre i propri saggi e romanzi convinto che la cultura, anche libresca, non può che essere al centro della vita d’ogni cittadino, fra molte altre cose certo, poiché nel tempo il programma ha celebrato sport, cinema, teatro, viaggi, scoperte ed ogni tendenza di questo incerto presente. Poco propenso all’opinionismo se non targato ‘giornalista’ o ‘esperto’ (ma l’obbligo di circondarsi di professionisti della notizia segue codici ben precisi anche in trasmissioni televisive che sembrano apparentemente meno ingessate), anche nel periodo pandemico, affidandosi al valente prof. Burioni. Aprì ‘Che tempo che’ fa con i climatologi e gli si potrebbe rimproverare di non aver proseguito e rafforzato questa tendenza ma lo show, che sempre ‘must go on’, seguiva anche i desiderata del pubblico italiano sempre troppo annoiato quando si parla di clima e suoi cambiamenti, e forse questo resta uno degli argomenti più rognosi per gli italiani, che ancora stentano a realizzare, forse, quanto il clima stia determinando politica e non politica e scelte dietrologiche azzardate dei governi pur di non vedere cosa arriva di fronte a noi; mentre il conduttore non se l’è sentita  di indietreggiare d’un centimetro riguardo l’informazione scientifica e professionale attorno al covid, fino all’ultimo minuto. La formula televisiva era leggermente stanca, come alcuni monologhi di Luciana Littizzetto, ma con notevoli sprazzi di ironia e comicità; la parte dell’intrattenimento affidata ad una modalità collaudata che gli si riconosce ma, magari, un po’ da rivedere e forse il cambiamento farà bene al conduttore televisivo come ai suoi prossimi programmi. I suoi compensi tanto criticati, come quelli di altri, fanno parte di un sistema mai abiurato da nessuno, da sinistra a destra e coprono ‘il giusto’ l’esposizione mediatica e tutto il lavoro che c’è dietro un programma ventennale, ma rimarranno sempre troppo alti per i populisti che hanno messo a soqquadro, nel male  e nel bene (?), parte della scena politica italiana. Compensi che non andranno mai bene ai politici in cattiva fede: i quali sanno benissimo come devono funzionare le cose ma per mantenere le loro poltrone vendono ad una parte della popolazione meno istruita o in preda a superstizioni senza alcun fondamento, un ‘prodotto partitico’ frutto di populismo, appunto, xenofobia, tendenza guerrafondaia volta all’incremento dell’industria bellica a fini economici, falsa paura di spopolamento nazionale (in 60 milioni!?) e fiducia illimitata verso lo sviluppo (senza progresso ovviamente), ‘prodotto’ al quale essi stessi non credono un minuto ma molto utile ad accaparrare posti al sole. Un cittadino che sta in piedi da sé, lo si vede in altri paesi europei antipatici all’attuale politica, considera fondamentale l’impegno civico fatto di preparazione e cultura, quella che non fa l’occhietto a notizie false e tendenziose volte a smontare l’Informazione con la maiuscola, ma non sembra ci si trovi particolarmente vicini a quel modello, anzi… Ora che tempo che fa bisognerà rilevarlo attraverso termometri forse meno professionali, più tendenziosi; dove dirigerci indovinarlo attraverso meno bussole, ché gli strumenti volti alla conoscenza messi a disposizione del pubblico, si sa, non sono la specialità dei populismi. Fazio o non Fazio, che non era certo sinonimo di fazioso. (Serena Grizi)   

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