Non più rimborsi elettorali ai partiti
La Corte dei Conti boccia tutte le leggi che hanno ripristinato il finanziamento pubblico
Nell’aprile del 1993 gli italiani furono chiamati ad esprimersi con un referendum abrogativo sulla legge che prevedeva il finanziamento pubblico ai partiti. Più di 31milioni votarono per l’abrogazione di quella legge, in quanto disgustati dalla Tangentopoli venuta alla luce grazie alle inchieste di un pool di magistrati.
Si trattava di un sistema di mazzette distribuite ai tesorieri di quasi tutti i partiti, che pretendevano impunità attraverso il tracotante motto: “tutti colpevoli nessun colpevole”. E dopo le mazzette, gli italiani dovettero ingoiare l’aggiustamento dei conti pubblici con il prelievo forzoso sui conti correnti da parte del governo Amato. Così dopo che il risultato referendario abolì il finanziamento pubblico ai partiti, il Parlamento aggiornò la legge sostituendo alla parola “finanziamenti” quella di “rimborsi elettorali”. Tra l’altro, a partire dal 2006 il Parlamento estese i rimborsi elettorali a tutti e 5 gli anni del mandato parlamentare.
Il risultato è stato che in 20 anni i partiti, attraverso varie disposizioni fatte approvare dal Parlamento, hanno intascato 2,7 miliardi di euro di soldi pubblici. Finché di recente un giudice, indagando sui tanti sprechi della casta dei politici, ha interpellato la Corte dei Conti per sapere se le suddette disposizioni sono state varate in difformità con il risultato referendario del 1993. E il magistrato contabile del Lazio De Dominicis così si è espresso: «Siamo di fronte ad una violazione del principio di parità e di eguaglianza tra partiti e cittadini, in quanto i primi si sono posti al di sopra dei cittadini facendo approvare dal Parlamento una serie di disposizioni che dal 1997 ad oggi sono da ritenersi elusive e manipolative del risultato referendario e di fatto hanno ripristinato le norme abrogate». Dunque il magistrato contabile De Dominicis ha messo in mora tutte le leggi di questi ultimi 20 anni che “con artifici semantici hanno ripristinato il finanziamento pubblico”. Tali leggi già considerate illegittime dalla Corte dei Conti dovranno essere sottoposte anche al vaglio della Corte Costituzionale che dovrà pronunciarsi sulla loro costituzionalità o meno. Ora Beppe Grillo ha lanciato una proposta (che può valere come provocazione!): «Visto che la Corte Costituzionale non potrà che decidere la restituzione del maltolto allo Stato, cioè i 2,7 miliardi, in attesa della sentenza si potrebbe avviare un’azione di sequestro preventivo dei patrimoni immobiliari dei partiti ed una sospensione degli stipendi ai loro dipendenti. Il Pd, ad esempio, ha 2.399 immobili che hanno un valore di circa mezzo miliardo di euro e che sono affidati a 57 fondazioni».
I parlamentari del Movimento 5 Stelle, dal canto loro, appena entrati in Parlamento hanno chiesto che a partire dal 2013 i rimborsi elettorali venissero restituiti ai contribuenti. Hanno dato l’esempio non intascando i rimborsi che spettavano loro per l’anno in corso. Così dopo aver rinunciato alla prima tranche di rimborsi pari a 1,5 milioni di euro, il M5S ha rinunciato anche a 2,5 milioni di parte delle loro indennità e diarie, a cui hanno diritto. A questi gesti, che hanno effetto immediato, il governo ha risposto con l’emanazione di un decreto legge che: a) abolisce gradualmente i rimborsi elettorali (l’abolizione andrà a regime nel 2017); b) istituisce le donazioni ai partiti del 2 per mille con la denuncia dei redditi. Va detto però che chi non vorrà indicare un partito nella denuncia dei redditi, vedrà il 2 per mille devoluto allo Stato in un fondo per l’abbattimento del debito pubblico. A parte la schedatura politica che ne verrà fuori per il contribuente, piuttosto antipatica, con il suddetto decreto i partiti avranno ulteriori vantaggi. Cioè agevolazioni per le loro scuole di partito e la cassa integrazione per i loro dipendenti in esubero. I partiti debbono essere aiutati, si capisce!
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