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No slot, no droga

Luglio 25
14:00 2013

A volte l’insulto più grave, quello che fa più male, è l’insulto all’intelligenza, a quella oppressa e stordita, all’altra accartocciata su se stessa per umiliazione e violenza. Quando non c’è scampo per la giustizia e l’ingiustizia la fa da padrona, allora è tempo di mettersi a mezzo, di traverso, occorre farlo senza intendimenti sottobanco,

mediazioni di accatto, interessi che rapinano il rispetto per se stessi e per gli altri, soprattutto di quanti non sono più in grado di erigere difesa a un limite che non sia solo quello imposto da una legge, da una regola, un limite che noi riconosciamo e siamo all’altezza di onorare. Nella vita si può esser anche l’ultimo degli uomini, ma perfino quell’uomo non potrà sfuggire al carico della propria dignità.
Nel mio servizio alla Comunità Casa del Giovane ho la possibilità di incontrare parecchi ragazzi, per quanto nelle mie capacità di contribuire ad accoglierli ed accompagnarli per un pezzo di strada importante. Luca è un giovane adulto, un bel ragazzone, ma poco consapevole delle proprie potenzialità, assai sbilanciato sul fare meno fatica possibile per arrivare alla meta, tutto teso ad architettare piani strategici per ottenere quanto il proprio desiderio imbizzarrito gli frusta al fianco. Un ragazzo come tanti altri allo sbaraglio, in famiglia, in classe, in strada, uno dei tanti al palo e poco atteso al rientro a casa.
Un giorno mi chiama sul telefonino: «Vince, devo raccontarti una cosa, ho bisogno di parlare con te, vengo domani» Lì per lì ho pensato: avrà combinato qualche casino, ne avrà fatta una delle sue, infatti se i guai non lo cercano, è lui ad andare a scomodarli. Il giorno seguente ci incontriamo, come sempre è tirato a lucido, ma questa volta è più tirato del solito, sembra un foglio di carta posizionato di traverso, non occupa spazio. «L’altra sera stavo tornando a casa, mentre aspettavo il pullman, tra le dita mi è salita una moneta da due euro, c’era un po’ di tempo, sono entrato in quel bar, l’ho buttata giù, ho pigiato qualche tasto e… mi è arrivato addosso per qualche istante un rumore persistente, mi sono ritrovato nelle tasche centonovanta euro, e… Brava la mia slot, mi sono detto. Invece di andare a casa, mi sono recato dove gironzolano i plotoni di ragazzi arresi in partenza, quelli come me insomma. Mi sono fatto un bel regalo, ho comprato qualche grammo di coca, qualche bottiglia di birra, e mi sono lasciato naufragare da ogni aspettativa».
Luca è un ragazzo fragile, non gli riesce di inventarsi un piccolo presente, figurarsi un pezzo di futuro, frequenta la comunità qualche ora al giorno per tentare di rialzare la testa, è una fatica immane, un percorso aspro, pieno di sali-scendi, non sempre c’è energia sufficiente per attingere resistenza, per opporsi all’occasione facile di un travestimento, una mimetizzazione, una appropriazione indebita per non risultare inappropriati. Quella slot con le sue lusinghe, le promesse, le belle bugie, ha reso analfabeta la fatica e i bisogni, il reale intorno, in un attimo ha reso vano il contributo di tanti operatori, ha umiliato il dolore di una famiglia allo stremo, ipnotizzando la necessarietà di una speranza da riempire di contenuti.
Slot che ammicca, che ammalia, che riduce a brandelli quanto quella droga tirata su con ingordigia. Si tratta di una accoppiata che non fa prigionieri. Non ci sono tante cose da dire a Luca, che già non sappia, tante liturgie da esplicitare con largo consumo di aggettivi, forse è più consono rammentargli quanto ha detto un mio grande amico scrittore: «un uomo è ciò che opera, ciò che ha fatto, ciò che ha commesso, se lo dimentica è un bicchiere capovolto sulla tavola, un vuoto chiuso». Non dimenticarlo Luca, no slot, no droga.

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