“Nighthawks” di Edward Hopper
Tarda notte. Strade deserte. Un solo bar ancora aperto per i pochi avventori nottambuli. La luce del neon rischiara l’interno del locale. Una coppia in piedi dietro il bancone, un uomo seduto di spalle e il barista di bianco vestito. Fuori però è il buio dell’oscurità a dominare il quartiere.
Quando Edward Hopper comincia a dipingere “Nighthawks” (“Nottambuli”) è il 1941 e la base navale statunitense di Pearl Harbor è stata appena attaccata dai giapponesi. E’ l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e per gli Stati Uniti l’inizio di un periodo di angoscia, paura e disperazione. Tutta l’America sembra ripiegarsi nella sua solitudine per cercare un appiglio a questa tragica situazione. Per questo motivo “Nottambuli” sembra galleggiare in un’atmosfera straniante. Il “pezzo” di normalità americana che Hopper dipinge sembra essere “sospeso” in un “non-luogo” e in un “non-tempo”, in uno spazio concreto ma allo stesso tempo irreale. Ciò che ne scaturisce è l’immagine di un’America vuota e solitaria, e anche se non è questo ciò che Hopper intendeva ritrarre (“Nottambuli –diceva- è il mio modo di pensare a una strada di notte, niente più“) col senno di poi si rese conto di aver dipinto, inconsciamente, la solitudine di una grande città. Oggetti comuni e luoghi familiari, come un bar per l’appunto, diventano specchio dei sentimenti e dello stato d’animo di un’intera Nazione. Il realismo si fa metafisico.
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