Niente rugby, siamo Rai
Curioso che la Rai (pirandelliana realtà radiotelevisiva ancora alla ricerca della sua identità e autore) non trasmette le partite della nazionale italiana di rugby (ad oggi solo e soltanto il “6 nazioni” è trasmesso in chiaro, solo da La7), sport che, oltre ad aver riacceso un certo fascino nei confronti del pubblico, ha parzialmente catalizzato a sé molti transfughi del giuoco calcio italiano, inquinato ora come mai nella sua storia (e di molte altre discipline sportive di natura “professionistica”). Una «piovra dei muscoli» (Massimo Gramellini_La Stampa) che, per esempio, nel settore ciclistico, ha raggiunto nel 2007 forse il suo livello più…Basso (Ivan, ciclista che nell’arco di 48 ore aveva cambiato la sua dichiarazione pubblica sull’uso di sostanze stimolanti illegali, con la stessa velocità che s’impiega nell’infilarsi la giacchetta a vento all’arrivo di una perturbazione stagionale e rimettersi in maniche di camicia come riesce il sole).
Il rugby potrebbe con il suo discreto fascino british, ascoltando voci schiette e popolari, dare una mano alla vita e alla disciplina sportiva in Italia, quella che non se la sente o non è capace di allontanare di netto il pallone tra i suoi piedi. Intanto, viviamo in un Paese dove gloriosi e storici inni nazionali (l’ultima partita qualificante Italia-Francia, a Milano), unti di memoria e identità universali come “la Marsigliese”, sono ennesime vittime della più selvaggia, tribale e vile ignoranza e inciviltà. Ci vorrebbero invece sì altri calci, ma in precise zone adipose o procreative, di molti, di troppi.
Sebbene sia spesso ritenuto erroneamente uno sport brutale, il rugby deve le sue origini ad uno dei più aristocratici college britannici, quello di Rugby appunto, che gli ha dato il nome. Secondo la leggenda, il giovane studente William Webb Ellis, durante una partita di un gioco della scuola (non era il calcio, ma un gioco che si poteva fare sia con le mani sia con i piedi – forse il termine inglese era “football”) disputata nel 1823, afferrò il pallone con le mani e, anziché calciarlo come previsto, partì con la palla in mano verso l’opposta linea di fondo. Gli sport allora non era ancora dotati di regole standard e molte varianti prevedevano che la palla potesse essere portata in mano (la principale differenza riguardava l’utilizzo delle mani – Handling game – contrapposto al Dribbling game), quindi di per sé la corsa di Webb Ellis non fu una vera e propria novità, ma fu un gesto che provocò un’accesa discussione per alcuni anni, fino al 1829, anno in cui arrivò un nuovo preside in questa scuola, Thomas Arnold, il quale decise di adottare questo modo di giocare: nasceva in quel periodo “il gioco di Rugby”, cioè lo sport praticato in quella scuola, in quel paese. Questo modo di giocare si diffuse poi nel resto dell’Inghilterra e, nel 1871, nacque la prima federazione, quella inglese appunto.
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