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NEMI, LE IDI DI DIANA

NEMI, LE IDI DI DIANA
Agosto 12
07:38 2017

 

Diana, dea della caccia, dal 6 al 13 agosto prende vita a Nemi in una serie di interessanti iniziative che coinvolgono archeologi, antropologi, storici, studenti e bambini, turisti e visitatori. Si tratta dei Nemoralia, le Idi di Diana, rievocatrici di un culto di un passato arcaico e misterioso che riconduce ai riti religiosi del nostro antico Lazio.

Si tratta di un percorso che, partendo dall’inaugurazione a Palazzo Ruspoli di un’interessante mostra “I volti di Diana” a cura della dott.ssa Sara Scarselletta   in collaborazione con la Soprintendenza archeologica delle Belle Arti, della dottoressa Francesca Diosono, dell’orafo Luigi Middei, offre seminari, visite guidate, laboratori e spettacoli teatrali. A fare gli onori di casa la vice sindaco Edy Palazzi.

Nell’ambito di questa iniziativa anche il Museo delle Religioni “ Raffaele Pettazzoni” di Velletri ha organizzato uno stimolante seminario curato dal direttore Igor Baglioni con l’intervento dei docenti universitari Diana Guarisco, Alessandro Locchi e Anna Pasqualini. Artemide e Diana, divinità greca e latina sono state presentate e messe a confronto, anche con l’ausilio di documenti e riferimenti alle opere dei classici dell’antichità e splendide immagini di reperti archeologici, alcuni dei quali ritrovati nel tempio di Diana nemorense. Dal mito al culto, le dee che non vanno confuse, erano protettrici delle nozze e del parto, della natura, della caccia: Artemide, dea dell’alterità era il legame tra il mondo selvatico e la comunità civile, era considerata come divinità dei margini, intesi quest’ultimi come passaggi e momenti cruciali quali una guerra, un matrimonio, un parto. Anche la gioventù era considerata al margine tra natura e cultura e alla dea ci si affidava in questi passaggi cruciali. Marginali erano anche i luoghi di culto, situati ai confini e l’alterità era finalizzata all’identità e all’integrazione. Elemento di alterità in Artemide, il culto della quale richiedeva anche sacrifici umani, sono le ali con le quali la dea, che ha potere sulle bestie,  è raffigurata.

Ha sovranità nei boschi Diana, dall’aspetto luminoso, protettrice del parto e con forti legami con la luce che filtra tra le fronde degli alberi e successivamente con l’astro lunare. Dotata di arco e frecce, è una dea italica, preellenica; non è una divinità di origine romana: Tito Tazio e Varrone ne fanno riferimento citando l’opera di pacificazione delle donne nel Ratto delle Sabine. Sarà Servio Tullio nel 550 a. C. a fondare il tempio di Diana a Roma, trasferendolo da Nemi, sull’Aventino, luogo nel quale si ritiene che il re di Albalonga Aventinus morì, fulminato da Giove. Vale la pena ricordare la contrapposizione tra i due colli: Palatino a destra dove Romolo fondò l’Urbe e Aventino a sinistra nel quale Remo, che avrebbe tentato la fondazione di un’anti-Roma, sarebbe stato sepolto. Il tempio di Diana sull’Aventino è dedicato agli schiavi.

Ricco di reperti, purtroppo depredato nel corso dei secoli, il Santuario di Diana Nemorense era legato a riti sacri che avvenivano nelle selve del nostro territorio albano. Il celebre libro di Frazer “ Il ramo d’oro” fa riferimento alla cruenta usanza di uno schiavo che, staccato il ramo, sfidava al duello il re-sacerdote e uccidendolo, diveniva a sua volta sovrano. Nelle ipotesi che ricollegano i miti alla realtà, vale la pena ricordare che il salice in autunno, prima di perdere le foglie ingiallisce e i suoi rami paiono caricarsi d’oro…

Riti propiziatori e celebrazioni in onore della dea suggellarono, dopo la caduta di Albalonga, l’alleanza della confederazione tra le città albane. Divinità misteriosa, femminile per eccellenza, dea madre il cui culto in seguito verrà usurpato con la forza da un potere prettamente patriarcale, inizialmente era a lei dedicata un’ara di legno nel bosco. L’imperatore Caligola, farà costruire le due famose navi nello specchio lacustre di Nemi, vietando di erigere edifici nei pressi del Santuario: in esse dimorava e officiava i riti dedicati alla dea della caccia.   Sappiamo che le navi, affondate in seguito alla morte dell’imperatore, recuperate dopo secoli di permanenza in acqua ed esposte nel museo, fortunosamente furono distrutte in un incendio durante l’ultimo conflitto bellico. L’argomento potrà essere approfondito partecipando alle visite guidate nel Museo delle Navi romane, agli scavi del Santuario di Diana Nemorense e seguendo numerosi altri seminari a cura delle già citate dott.sse Diosano e Scarselletta e dell’antropologa Michela Zucca, prendendo parte alle interessanti iniziative che l’Amministrazione della ridente cittadina castellana ha organizzato fino al 13 agosto: oggi, come allora si rinnoverà in chiave moderna, quell’antico impegno che gli antichi abitanti del nostro territorio attivavano come segno di culto nei confronti della misteriosa divinità dei boschi.

 

 

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