“Nei pensieri del nonno”
“Nei pensieri del nonno”, di Giuseppe Tedeschi
Giuseppe Tedeschi, presidente della ProLoco di Ciampino e attivo operatore culturale, aveva promesso qualche anno fa al padre Nicola, per tutti Nicolino, che avrebbe raccolto in un libro gli appunti di guerra e di prigionia che gli erano stati affidati, scritti su un quaderno o narrati a voce. Si prende tempo, Giuseppe, lavorando all’idea che forse non gli sembra facile realizzare, dovendo delineare un luogo, un’epoca e una figura d’uomo esemplare col massimo rispetto per la verità. Poi finalmente “Nei pensieri del nonno” prende corpo, e il racconto di Nicolino diventa la testimonianza di un italiano che fa bella la storia di questa nostra Italia e di questo nostro popolo che ha sempre saputo rialzare il capo dopo ogni peggiore sconfitta.
Cade a proposito, nel 150° dell’Unità d’Italia, il libricino che Giuseppe dedica al padre, e anche se ciò appare non intenzionale è senza dubbio un’ottima coincidenza.
Ed ecco che fra disegni, fotografie, documenti e parole che provengono da generazioni diverse partite dallo stesso ceppo, si ricostruisce la vicenda storica e umana che tante altre, simili, ne riporta alla mente.
Un piccolo borgo rurale disteso fra mare e colline, la vita semplice e faticosa dei campi, il linguaggio arcaico e il pensiero perdurante dei padri, e nessuna prospettiva di un futuro diverso; questo è Pezze di Greco in provincia di Brindisi, un paesello tranquillo e anonimo, che non sfugge però agli artigli della guerra.
Arriva la cartolina precetto e Nicolino parte per andare a difendere la Patria. La Patria, allora, era una parola grossa, ci si levava tanto di cappello nel nominarla; anche se non si capiva bene cosa mai la Patria facesse per i poveri contadini, sempre in debito col cielo e con i padroni della terra.
Nicolino fa il bravo soldato, prima in Libia e poi al fronte, “e senza sparare un solo colpo” si ritrova prigioniero in Inghilterra dove resta per sette anni.
Nicolino, classe 1920, è figlio di emigranti; nasce a New York da genitori a loro volta emigrati con le rispettive famiglie intorno alla fine dell’Ottocento. Così succedeva, si andava oltreoceano a cercare fortuna, ci si incontrava fra paesani, fra giovani ci si innamorava e si metteva su famiglia lasciandosi alle spalle la miseria da cui si era fuggiti. Ma Peppe e Lucia, i genitori di Nicolino, tornano in patria con i primi due figli, cui se ne aggiungono in seguito altri quattro. Al paese c’è la grande casa acquistata dai nonni paterni coi risparmi sudatissimi di una vita di sacrificio in terra straniera, risparmi che consentono anche l’acquisto di diversi ettari di terra. Dice Nicolino: “Io non volevo fare il contadino, poi la terra diventa la mia passione”, e con l’aiuto della fedele mula Pippinella, dà man forte alla sua numerosa famiglia.
Nel libricino di Tedeschi c’è uno spaccato di storia, non solo contadina, che altri autori hanno tentato di rendere con grande spreco di carta e di parole, e qui invece si condensa in poco spazio e tanto cuore, e una buona conoscenza della sorte umana inquadrata in particolari ambiti e risvolti epocali che ne condizionano lo svolgimento.
Un bel lavoro, in cui splende l’autenticità della narrazione sia del figlio che del padre – l’uno consolida il pensiero e le esperienze dell’altro – che senza giri di parole ti fa toccare la stoffa della nostra gente, prima che il “miracolo economico” la ricoprisse di lustrini e falsi valori.
Forse – e questa vuole essere una piccola nota critica e nel contempo un meritato elogio all’autore, che ha saputo con pochi e magistrali tratti far riemergere una saga familiare emblematica sullo sfondo di un secolo breve segnato da due guerre mondiali e dalla grande emigrazione italiana – in questa opera bisognava crederci di più, fidare di più sui propri mezzi espressivi (intensi certi passaggi, sia nelle note di guerra che nella descrizione dei luoghi e delle modalità di vita prima e dopo il secondo conflitto mondiale) e sulla qualità del materiale a disposizione, di evidente pregio. Giuseppe Tedeschi ha assolto al meglio il suo incarico nei confronti del padre, ma forse rimane ancora debitore nei confronti della Storia: certi lasciti, una volta accettati, diventano un patrimonio da custodire e accrescere e di cui dar conto a chi viene dopo.
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