Museo Civico Umberto Mastroianni – Marino – Only Sheets on the Wall
Only Sheets on the Wall
4Hands (Monica Pirone, Sergio Angeli)
e Elina Chauvet
a cura di Michela Becchis
Testi di Fabio Benincasa, Giorgio De Finis, Claudia Quintieri
7-28 marzo 2020
vernissage sabato 7 marzo ore 18,00
Museo Civico Umberto Mastroianni, Piazza Matteotti 13, Marino (RM)
Ingresso libero
info : 4hands.pironeangeli@gmail.com
museocivico@comune.marino.rm.it
La trama biografica
di Michela Becchis
Se, invece di provare a fare la storia,
provassimo semplicemente a considerarci responsabili dei singoli atti che la compongono,
forse gli esiti non sarebbero così grotteschi.
Non la storia bisogna fare, ma la propria biografia”
(Viktor Šklovskij, Viaggio sentimentale)
Due mani, quattro mani, sei mani. Una sorta di filastrocca per bambini è invece una pista, divenuta tela, dove due artisti poi divenuti tre costruiscono un mondo, un pezzo di condivisa biografia. Pirone e Angeli fanno nascere il progetto originario da un confronto tra i loro modi di fare arte, cercando una traccia che possa connettere e fondere insieme due mondi diversi. “Mettere in gioco se stessi e cercare una mediazione con un altro artista, trovare un linguaggio che sia davvero rappresentativo di due identità distinte, di due stili diversi, di due anime differenti, con sincerità e con spessore, può diventare rischioso, difficile.” dice Monica Pirone. Il lavoro dei due artisti rappresenta in effetti un rischio; il pericolo, per nulla irrilevante nell’arte, di dover rinunciare a una parte di sé, della propria ricerca, del proprio stile. Ma Pirone e Angeli accantonano quel sentire di danno che c’è nella parola pericolo e trattengono la componente di esperimento, di prova ancorché rischiosa. E squadernano il loro progetto affinché possa entrare una terza artista, Elina Chauvet, un terzo mondo, una terza ricerca complicando ulteriormente quello che potrebbe essere il risultato finale. Complicando oppure no? I tre artisti infatti danno forma a un lavoro che è il congiungersi di tre individualità assolutamente consapevoli che in questa parola è racchiuso un percorso, un farsi inesauribile che non può darsi mai compiuto una volta per tutte: i suoi risultati saranno soltanto il momentaneo consolidamento di un «equilibrio metastabile». Adopero la definizione di transindividuale che ne ha dato, tra gli altri, Gilbert Simondon qualche anno fa perché mi pare si attagli perfettamente al senso della loro prova. L’essenza umana non è altro che la molteplicità e l’eterogeneità costitutiva del rapporto, dei rapporti. Difficilmente questa eterogeneità, che potremmo definire ricchezza dell’esistenza, viene accolta in un progetto artistico non solo come forma di esperienza di un individuo che ne riporta ciò che possiamo definire il risultato nel suo lavoro, ma anche come effettivo atto materiale di creazione dell’opera. I tre artisti, attraverso segni e colori attuano una sorta di consegna del sé l’uno alle altre, delle proprie intimità racchiuse nella scelta delle lenzuola da dipingere, oggetti tra i più personali della domesticità. Questa consegna avviene costruendo dentro il percorso delle opere una definizione della coppia concettuale vicinanza/lontananza che ne diviene elemento interpretativo. A Elina Chauvet, nel rispetto del proprio modo di comporre, va il compito di creare una sorta di struttura grafica che si assume il ruolo di essere sentimentale e al tempo rigoroso piano cartesiano; una struttura poetica che non costringe, ma determina il luogo di azione dell’espansione generosa del segno e dell’incessante ricerca cromatica di Pirone e di Angeli.
Il risultato permette, secondo la definizione di Sergio Angeli, di “Individuare particolari definiti e altri indefiniti che insieme vanno a comporre quella che chiamerei grafica dell’anima.”
La lontananza geografica che è costitutiva di un progetto che pure nasce dalla condivisione di giorni e di ore trascorsi insieme, diventa nel lavoro dei tre artisti una sorta di straniamento da tutti e tre ricercato. Chi guarda è obbligato a creare un modo di vedere l’opera che gli permetta di cogliere il senso di lavori che sono state eseguiti con interventi che rispondono a una sorta di paradosso per cui pur gli artisti avendo lavorato, in particolare nell’intervento di Chauvet e poi di quelli degli altri due artisti, dentro una successione temporale lineare dovuta all’essere fisicamente in posti diversi, costruiscono un risultato che è sincrono, che non può apprezzarsi se non percepito nella sua unicità. Il tempo interno alle opere che costituiscono la mostra è un tempo ampio, diffuso che trasforma il breve tempo del guardare in un tempo lungo nella memoria che si riempie di variazioni di colore, di fitte strade di linee, di un narrare che trasforma l’originaria traccia in una vera e propria trama, in fatti necessari, cioè, per comprendere l’inestricabile intreccio dell’esistere.
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