Musei, ville e siti storici, l’assurda chiusura del fine settimana
Mille sono le cose inspiegabili d’un periodo come questo, al netto delle evidenti notizie contraddittorie in tema di salute pubblica e vaccini. Una fra queste è che un territorio come quello italiano, relativamente limitato nelle sue aree più facilmente raggiungibili, e densamente popolato, veda l’apertura di musei, ville storiche e siti storico-archeologici e naturalistici con bigliettazione, dal lunedì al venerdì e chiusi nel fine settimana. Senza se e senza ma. L’anticipazione della bella stagione ha portato intere famiglie ad allontanarsi da casa almeno un giorno a settimana, per camminare e stare all’aria aperta, dare ai bambini una prospettiva più ampia del solito parco giochi o portare gli animali di casa a ritrovare un po’ della perduta libertà. Chi si allontana da casa nel fine settimana deve restare comunque nella propria regione, il prossimo DPCM probabilmente non cambierà orientamento fino a Pasquetta, data l’attesa terza ondata, in rialzo, di contagi da covid nelle sue ultime varianti. Così si condannano molte persone a muoversi in non infiniti luoghi, considerati quelli più accessibili, per trascorrere una giornata in natura. Per cui, se nel Lazio si volessero raggiungere aree di grande bellezza naturalistica come, per esempio, Vulci, notoriamente un museo all’aperto con notevoli passeggiate, o le magnifiche ville Tiburtine, o altre aree di interesse prettamente naturalistico, lo si potrà fare solo dal lunedì al venerdì, giorni nei quali com’è noto molti sono impegnati al lavoro. Si costringono molti comuni nei quali si trovano aree con accesso libero non contingentato, ad organizzarsi in conseguenza dell’afflusso di un gran numero di visitatori e si ritengono incapaci di contingentare gli accessi grandi giardini e aree dove sarebbe possibile prenotare per fasce d’accesso poichè l’ingresso è a pagamento. Dopo il primo lockdown, per esempio, era possibile attraversare villa D’Este, seppure con una passeggiata in una sola direzione dall’ingresso all’uscita: l’afflusso fu molto buono ma mai visto nulla che somigliasse ad un assembramento. Domenica scorsa grande afflusso alle rovine della antica Monterano, area ad accesso gratuito: molte persone, giunte sul posto non solo per la tradizionale passeggiata fra le antiche chiese dirute, l’acquedotto, il Castello Orsini-Altieri riprogettato da Gian Lorenzo Bernini o l’ormai famoso fico detto, in tempi recenti, del Marchese del Grillo, ma anche per fare sosta e colazione sui prati nella bella giornata. La possibilità di accedere ad altri luoghi avrebbe portato molti visitatori ad organizzarsi diversamente, decongestionando maggiormente questa e le altre non infinite aree gratuite, il Lazio infatti è ricco di magnifiche ville storiche con musei e parchi. Eppure sembra che tutto sia considerato e gestito alla stessa stregua: si continuano a sentire annunci di riaperture di aree e siti storici fra sculture, mosaici e mostre, che in pochi fortunati vedranno, e restano depresse anche altre attività fra cui anche il cinema, il teatro, i concerti (fra poco di nuovo realizzabili all’aria aperta), attività nelle quali era già stato stabilito che gli accessi si sarebbero potuti controllare con specifiche modalità: anche qui la prossima data attesa per la riapertura è il 27 marzo. L’Italia dei grandi esperti, magari, deciderà di proseguire avanti, senza guardare così poi, presto, i soliti noti sentenzieranno sulla crescente ignoranza delle giovani generazioni le quali dovrebbero prendere ispirazione dall’esempio e dalle priorità che gli adulti danno alle componenti della vita civile e sociale, inclusa la scuola che, però, non può essere l’unica fonte di educazione. La deriva è già nel vuoto, nei raduni serali a prendersi a bottigliate. (Serena Grizi)
Immagine web: Fontana del Leone di Monterano
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