Quando la povertà è fotogenica – 2
Walker Evans sarà uno dei primi ad abbandonare il “progetto povertà” della Farm Security Administration, in totale disaccordo verso la piega populistica che il suo responsabile e deus ex machina Roy Stryker stava imprimendo a tutto il programma di documentazione fotografica. Quello che Evans fotografò in quegli anni è infatti singolarmente agli antipodi da quello degli altri reporter del gruppo: la sua personale narrazione della crisi sposta il fuoco dai visi inebetiti dei contadini migranti, dalle donne vestite di stracci, alle piccole città del Midwest, alle deserte e ingrigite Main Street, ai muri sbrecciati, ai manifesti cinematografici, muti testimoni di una spensieratezza irrimediabilmente perduta nello sconsiderato falò di Wall Street. È proprio in queste immagini, nella desolazione di questi non-luoghi, che la presenza umana si percepisce più forte.
Mentre Dorothea Lange ha bisogno della figura umana, dei bambini soprattutto, per costruire e costruirsi uno stucchevole e manierato teatrino dickensiano, gli interni delle baracche di Evans, piene di povere cose, di babbi natale fuori stagione, di letti in ferro battuto, di fotoritratti sistemati alla bell’e meglio su comodini di fortuna, ci restituiscono tutto il dolore della povera gente che ha perso tutto, fuorché i ricordi. Forse questo è uno dei rarissimi casi dove si può ben dire che le immagini ‘parlano’ più delle famose ‘mille parole’. E parlano finalmente un linguaggio universale.
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