Morte e rinascenza nell’arte di Cosimo Angeleri
L’arte di Cosimo Angeleri potrebbe essere la più naturale comunicazione prodotta in un ultimo, isolato bunker dimenticato sulla terra, l’ennesimo rimando ad una fantascienza catastrofista e d’imbarbarimento, ma le sue opere, al riguardo, sanno andare anche altrove, trovando propria vita, a partire dall’espressione rivelata nel loro essere indeterminate, come pure nelle convergenze dei materiali, che includono polistirolo e cartonati. Materiali con cui si gioca l’ambivalenza di una natura che risucchia e trasforma nella carenza di un’interposizione culturale, concreta memoria per tramandare un futuro. Il tutto avviene attraverso una sagoma umana allusiva, un nostro alter ego stratificato tra immondizie, archeologia di un avvenire erede di una memoria del “rifiuto” che l’artista rimesta e vivifica rendendo, nell’arte, coscienza del presente. Un presente fertile di rimandi all’oblio e dove, nondimeno, si percepiscono richiami al remoto, accenni ad un mito, primordiale ed indefinito, presunto archetipo di una cultura che, nel tempo, si ripropone attraverso un tratto naif caratterizzante l’origine e il ritorno, l’impronta, il segno. Un’arte semplificata anche nell’assemblaggio e nondimeno prospettica, rinascimentale negli scorci visivi che propone proiettandosi verso quell’ordine predestinato oltre. Ogni tentativo, in questo senso, viene ricostituito attraverso il rottame, detrito reietto di una società incapace di auto-rigenerarsi e che, solo attraverso questo processo, sarà in grado di riprodurre possibili equilibri. L’artista dapprima sperimenta, ricerca, prospettando poi nuove geometrie del caos in un presente post-industriale fatto di simmetrie di precarietà. Lo spazio-oggetto, in quanto rappresentato, perde contesto divenendo vettore di uno osmotico processo tra scorie e natura. Il processo di mimesi è allora il rigenerarsi incondizionato di polietileni nel contenitore abbandonato, allegoria di una natura che si rigenera sulle testimonianze di una civiltà perduta; è un vero e proprio magma, quello che a tratti sembrerebbe fuoriuscire nelle opere di Angeleri. Seppure non ravvisabili al primo impatto, sono notevoli le ascendenze dell’artista col mondo pubblicitario, sia nelle collocazioni più strettamente visionarie, evocative, che nell’intrinseco utilizzo dei materiali, volti a rendere l’idea di sublimazione nell’effimero. Grande è la suggestione che ne consegue in termini d’impatto visivo, soprattutto allorquando veicolata senza troppi risvolti di business. Il vintage, a dire il vero, ricorre tra le righe, ma qui è soltanto il mezzo e giammai sostanza per approdare altrove, a negate radici, o piuttosto quanto, emblematicamente, riconduce a precisi segni di un mondo scomparso nella memoria prima ancora che fisicamente. E tangibili, in tutta la loro consunta concretezza di scarti, vengono mostrati cerchioni di automobili come ieratica presenza, totem eretto tra la sagoma di un trono assimilato nel fondo nero di una lavagna. Qui non poteva mancare un piccolo foglio bianco, angolo di resistenza nel quale, comunque, resta ancora tutto da scrivere.
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