Monumento funerario dei Rabiri
Un interessante blocco marmoreo, importanza legata all’eleganza del rilievo e alla coincidenza con le sottostanti epigrafi latine di tipo sepolcrale, è stato rinvenuto sul destro della via Appia antica tra il IV-V miglio. Questo blocco fu murato in una ricostruzione di un sepolcro “ad ara” fatta dall’architetto Canina nell’Ottocento, insieme ad altri frammenti (fig. 1). La lastra ha un’altezza di cm 88, una larghezza di cm 183 e uno spessore di 34 cm. Venne trasportata nel 1972 nel Museo Nazionale Romano.
Il testo dell’iscrizione:
CAIVS RABIRIVS POSTVMI LIBERTVS
HERMODORVS
RABIRIA DEMARIS
VSIA PRIMA SACERDOS
ISIDIS
C(aius) Rabirius, Post(umi) l(ibertus),
Hermodorus;
Rabiria Demaris;
Usia Prima, sac(erdos)
Isidis
Traduzione: Caio Rabirio Hermodoro, liberto di Postumo; Rabiria Demaris; Usia Prima, sacerdotessa di Iside.
Questa consuetudine di commemorare i defunti attraverso il ritratto e in alcuni casi l’iscrizione, era in voga tra la fine della Repubblica e i primi anni dell’Impero. I tre ritratti, a mezzo busto, sono scolpiti entro una nicchia con due personaggi, i titolari del sepolcro, sulla sinistra. Sono rappresentati con uno stile poco attento al ritratto fisiognomico ma piuttosto al ruolo e al rigore. I due volgono la testa leggermente verso sinistra, lui ha il volto con gli zigomi alti e sporgenti, la fronte segnata da rughe e le labbra serrate. Lei ha una pettinatura austera, con i capelli divisi da una scriminatura centrale in due bande strettamente attorcigliate, che partono dalla nuca e si serrano anteriormente in un nodo tipico dell’età repubblicana.
Sulla destra invece un terzo personaggio, una donna con la testa rivolta verso destra, piuttosto diversa rispetto agli altri. Si nota che il personaggio femminile è stato ricavato scalpellando un precedente busto maschile di togato predisposto nella bottega del lapicida. Anche il piano di fondo del ritratto è stato notevolmente ribassato per ottenere le raffigurazioni del sistro, lo strumento musicale a corda di Iside e la patera, il piatto per le libagioni rituali anch’esso allusivo del culto della dea e riferibile al sacerdozio della defunta com’è precisato nell’iscrizione. Siamo dunque di fronte ad un caso di riutilizzo di un monumento funerario. Il modellato più morbido, l’uso del trapano nella realizzazione della capigliatura e la stessa acconciatura inseriscono questo ritratto in Età claudia, metà del I d.C.
Esaminando l’iscrizione si nota che i defunti originari sono il liberto Caio Rabirio Ermodoro e Rabiria Demaris. Anche quest’ultima, che non dichiara la sua condizione, è probabilmente una liberta, come fa sospettare il nome greco Demaris, forse compagna di schiavitù e di vita del personaggio maschile, entrambi liberati.
Il patronus di Ermodoro è un personaggio noto, un cavaliere di Età cesariana, C. Curzio Postumo della gens Curzia, che assunse il gentilizio Rabirio e lo trasmise al nostro Ermodoro quando venne affrancato. Di tale personaggio sappiamo che fu un politico romano difeso da Cicerone, in una celebre orazione la “Pro Rabirio”. Dall’Egitto, culla del culto di Iside, Caio Rabirio Postumo condusse con sé a Roma dei seguaci della dea, come suggerisce la presenza nel sepolcro di Usia, sacerdotessa di Iside, che però morì successivamente alla realizzazione del sepolcro. Tra questi personaggi vi era tuttavia in comune il medesimo credo religioso diffuso soprattutto tra schiavi, liberti e negli strati più umili della società romana.
L’iscrizione dei Rabiri è databile intorno alla metà del I secolo a.C. invece quella di Usia alla metà del I d.C. Tuttavia un aspetto particolare del sepolcro è legato al ruolo simbolico degli spazi. Infatti mentre la prima parte è colmata dalla coppia di coniugi, la seconda, è occupata dalla sacerdotessa e lo spazio rimanente, da un umbone solare, simbolo del suo alterego maschile ritrovato. Siamo di fronte anche in quest’ ultimo caso ad una coppia, però spirituale.
Per concludere, la presenza in questo monumento di Usia Prima, deve essere posta in relazione alla propagazione di culti misterici a Roma.
Le religioni orientali che si diffusero a Roma e nelle provincie occidentali verso la fine del periodo repubblicano e all’inizio dell’ Età imperiale appartenevano ad un mondo di idee avulso dalle credenze della religione romana tradizionale. Quest’ultima era nata dalle necessità di una semplice società rurale ed ormai era considerata incompleta, poiché non teneva sufficientemente conto di un aspetto molto significativo ossia il bisogno di risposte riguardo alla possibilità di una vita oltre la morte. Ecco il motivo per cui si diffusero culti segreti di carattere esoterico in cui l’uomo poteva trovare una riposta personale ai propri dubbi e alle proprie paure. Per giunta l’immigrazione legata al commercio fece nascere comunità greche e orientali di notevoli dimensioni in tutte le principali città occidentali dell’impero che poi divennero centri di diffusione di culti orientali.
Bibliografia: L. Canina, La prima parte della via Appia, dalla porta Capena a Bovillae, descritta e dimostrata con i monumenti superstiti, Roma 1853.
www.archeoroma.beniculturali.it
www.edr-edr.it
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