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PARCO CALAHORRA

Da un’intervista che i ragazzi della scuola elementare dell’Istituto Comprensivo di Monte Compatri, nell’ambito di un progetto di didattica ambientale svolto dalla Cooperativa Vulcano, hanno effettuato presso la famiglia che fino al 1956 era proprietaria dell’area dove oggi si trova il Parco Calahorra, è risultato che già agli inizi del 1900 la stessa famiglia Preziosi n’era proprietaria. Era allora un parco di circa 9000 mq e la proprietà era trasmessa in linea diretta ai figli maschi; tra essi possiamo ricordare il sacerdote don Alessandro, parroco di Monte Compatri dal 1900, a cui si deve l’iniziativa per dotare di illuminazione elettrica la chiesa parrocchiale nel 1910.

Tutti i proprietari che si sono succeduti nel possesso del parco, hanno avuto una passione in comune: l’amore per le piante. Venne da se che ognuno si dedicò con passione alla cura e alla sistemazione vegetativa del parco che, con questi presupposti, non aveva niente da invidiare ai parchi delle più belle e famose ville tuscolane.

Il terreno era, ed è, molto scosceso, così fu adottata una sistemazione a terrazze, con vialetti che, intersecandosi, lo percorrevano in lungo e largo in tutte le direzioni. Lungo questi sentieri erano state poste numerose panchine in pietra sperone, roccia di origine vulcanica, porosa e facilmente lavorabile, caratteristica che la rendeva particolarmente adatta a ricavarne anche e soprattutto motivi ornamentali per le facciate dei palazzi.

Ogni stradina, neanche a dirlo, era contornata da siepi fiorite e da alberi da frutto scelti con molta attenzione per ottenere il più bel risultato visivo possibile.

Chi oggi si addentra nella Villetta, più o meno nella parte centrale, trova uno slargo, quasi una piazza, con una fontana in mezzo (purtroppo semidistrutta), e nelle sue adiacenze si erge, imponente, un castagno secolare, con un tronco dalla circonferenza di 4 metri, al cui contorno, sotto la maestosa chioma, una volta, erano state poste una serie di panchine.

Una delle entrate al parco, in quegli anni, era abbellita da piante di rose, lillà e palle di neve; proseguendo per i viali, se ne trovavano alcuni cinti da siepi di alloro che si allungavano verso l’alto e che erano potate in maniera che si richiudessero ad arco fino a formare una galleria che, di tanto in tanto, si apriva sui lati in piccoli e incantevoli spiazzi, anch’essi arredati con tavoli e panchine, dove ci si poteva riposare in tranquillità e raccogliersi in meditazione.

Alcune zone del parco erano invece coltivate ad orto, altre a frutteto, con piante che oggi nel nostro territorio sono poco frequenti o addirittura scomparse come ad esempio: sorbi, mele selvatiche e visciole.

“La Villetta” era, insomma, un luogo, per la famiglia Preziosi, molto importante, tanto che in essa, ad esempio, in occasione della nascita di un primogenito, nel 1923, a ricordo dell’evento, fu piantato un boschetto di abeti che ancora oggi sono visibili.

Prima della sua apertura al pubblico, il parco era ovviamente destinato ai soli componenti la famiglia, anche se l’accesso ad esso, pur essendo limitrofo all’abitazione non era diretto da quest’ultima, ma si doveva fare un largo giro. Tuttavia dalla casa il parco si vedeva benissimo, così i bambini, sotto il controllo vigile della madre, vi potevano giocare tranquillamente ed osservare ciò che la natura offriva, compreso numerosi scoiattoli che saltavano da un ramo all’altro degli alberi e che oggi, purtroppo, sono scomparsi.

C’era però una parte della villa, un piccolo spiazzo, che era vietato ai bambini, perché luogo privato dello zio prete, il quale vi si ritirava spesso a leggere e a pregare.

Nel parco vi si organizzavano anche delle feste, ad esempio per l’onomastico dello stesso zio sacerdote, ed allora il bosco, i viali, gli slarghi, erano un continuo via vai di numerosi religiosi provenienti da tutto il circondario per festeggiare don Alessandro. In queste occasioni, per tenere gli alimenti al fresco, era usata una grotta che si trovava di fronte al gran castagno. Su di essa ci sono mille cose da raccontare: intanto che non era un antro naturale, ma un lungo cunicolo, forse addirittura di epoca Romana, sfruttato, si pensa, come cava di pozzolana. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu utilizzata come rifugio antiaereo e in seguito anche come macelleria clandestina. Questa grotta ha sempre suscitato un misterioso fascino nei ragazzini che frequentavano la Villetta e che su di essa inventavano storie avvolte di mistero e di segreti mai svelati.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, finalmente – ma forse sarebbe più opportuno, da un certo punto di vista, dire: purtroppo – la Villetta fu aperta sporadicamente al pubblico ed iniziò anche il suo lento e inarrestabile degrado (ecco il perché di quel “purtroppo”).

Diventerà ufficialmente parco pubblico nel 1956. I vecchi proprietari avevano già iniziato ad utilizzarla allestendovi un’arena per fare il cinema all’aperto nelle sere d’estate e in seguito anche per incontri di pugilato. Queste attività durarono fino agli anni ‘70.

I bambini di tutto il paese divennero i nuovi padroni del parco, ed oggi, ormai quarantenni o cinquantenni, lo ricordano come un “piccolo bosco selvaggio”, dove potevano scorrazzare indisturbati. Ma anche i più grandi, coloro che negli anni ‘60 avevano 15-20 anni, vi andavano spesso, magari con il mitico mangiadischi, e lì improvvisavano piccole e spontanee festicciole da ballo.

Da uno dei suoi viali si poteva vedere “Villa Luisa”, un istituto che ospitava bambini senza famiglia o in stato di disagio; i ragazzi li chiamavano, li salutavano, ci parlavano e la domenica molte famiglie monticiane andavano a trovarli, portando loro un piccolo regalo per farli felici.

Nel 1985, su iniziativa dell’allora sindaco Emilio Patriarca, la Villetta fu completamente ristrutturata. Fu realizzato il monumentale ingresso principale, all’incrocio tra le strade che vanno a Rocca Priora e San Silvestro; fu eretta la fontana di cui dicevo poc’anzi vicino al vecchio castagno; l’entrata della grotta fu murata e furono alzati muri di contenimento per realizzare nuovi viali. Ciliegina finale: là dove una volta c’era un bel frutteto, verso l’entrata da Borgo Missori, fu edificato un imponente anfiteatro in cemento armato, mai utilizzato per le funzioni per cui era stato ideato e costruito. Tuttavia i monelli monticiani, forti di inventiva e in barba ai pochi e quasi invisibili divieti, lo usano quotidianamente, estate e inverno, come campo di calcio, come pista di pattinaggio, per imparare ad andare in bicicletta o per mille altri giochi che scaturiscono dalla loro fervida fantasia.

MONOLITE e “Frammenti di visioni”

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