Nel suo progetto iniziale, dell’ingegnere romano Giuseppe Olivieri, la Fontana dell’Angelo si trovava al centro della via Maremmana III. Poi, non si sa per quali motivi, fu spostata di pochi metri nella posizione attuale. Ma forse non tutti i mali vengono per nuocere (almeno per determinati punti di vista), infatti, oggi sarebbe solo uno spartitraffico, una rotatoria, un oggetto utile, bello, ma morto: al centro di una strada con traffico intenso e piuttosto veloce. Invece, grazie alle modifiche urbanistiche che si sono effettuate nel corso degli anni, oggi si trova decentrata rispetto alla via principale e centrata rispetto alla strada di accesso al paese e funge, ancora come cento anni fa, da luogo di ritrovo per i monticiani.
Ma torniamo alla storia della nostra fontana e all’acquedotto che l’alimenta ed esattamente al 1878.
L’Amministrazione Comunale di allora aveva già provveduto, negli anni precedenti, a realizzare un sistema fognario che si estendeva per tutto il paese e a fare i primi passi per fornire la quantità di acqua necessaria alle esigenze della popolazione. In quell’anno, dunque, incaricò il già citato ingegnere Olivieri di studiare un progetto per portare il prezioso liquido dall’altipiano della Doganella, e più precisamente dalla località di Carpinello, fino al centro abitato. Inizialmente si pensò di far arrivare l’acqua nella vecchia fontana sotto Palazzo Borghese, di cui parleremo nel prossimo paragrafo, ma la sorgente di Carpinello si trovava, come altitudine, a 7 metri più in alto rispetto alla parte più bassa del paese e scendendo per gravità non avrebbe mai raggiunto la vasca esistente, perciò si optò per il sito attuale.
Il professionista elaborò due progetti: il primo prevedeva una tubatura in ghisa di 30 centimetri di diametro che aggirava le barriere naturali del terreno e che si sviluppava per una lunghezza di circa 13 chilometri, con una spesa preventivata di minimo quattrocentomila lire di allora. Il secondo progetto, invece, prevedeva un cunicolo in linea diretta che traforava le barriere naturali, per una spesa preventiva di circa duecentomila lire.
Logicamente fu scelto il secondo progetto.
La fontana fu inaugurata il 6 ottobre 1889, dopo otto anni di lavoro durissimo. La realizzazione fu iniziata, infatti, nell’aprile del 1881, ma immediatamente gli operai addetti allo scavo del cunicolo e per la posa in opera delle tubature, si trovarono a dover fare i conti con la roccia: una massa di selce compatta che si estendeva per oltre un chilometro. Quegli uomini furono costretti ad usare le mine: fu un’impresa lunga e difficile e lasciò sul terreno alcuni morti, dilaniati dagli esplosivi. L’acqua era però necessaria, quella che arrivava alla fontana vecchia, ubicata presso Palazzo Borghese e proveniente dalla sorgente del Tufello a Pratarena, una località che si trova oltre l’Abbazia di San Silvestro, non era più sufficiente alle esigenze del paese. I lavori per il nuovo acquedotto, lungo 5834 metri, di cui 5404 in galleria e 430 in tubatura di ghisa, erano assolutamente necessari e furono eseguiti al prezzo che sappiamo.
Al termine dei lavori, che alla fine costarono in moneta 378.087 lire, gli Amministratori di allora, guidati dal sindaco Giovanni Felici, ancora oggi ricordato per il gran bene che fece a Monte Compatri, tanto da dilapidare, sembra, buona parte dei suoi averi, decisero di raccogliere il nuovo flusso d’acqua non in una semplice vasca, ma piuttosto in una fontana che doveva essere anche un monumento a perenne ricordo e riconoscenza a quanti persero la vita nella realizzazione dell’acquedotto. Fu dunque incaricato ancora il già citato ingegner Olivieri di progettare l’opera. Al centro di una vasca circolare egli riprodusse un Angelo di bronzo – per altri un Genio alato – munito di un piccone e in procinto di dar fuoco alla mina che farà esplodere la dura roccia su cui è collocato.
Indubbiamente l’opera è la forma artistica di questo genere più bella che si trova a Monte Compatri ed è vanto, meritato, di tutti i suoi abitanti i quali ancora, dopo oltre un secolo, si ritrovano intorno ad essa a chiacchierare del più e del meno, in barba alla frenesia della vita moderna.
Due curiosità.
Durante la Seconda Guerra mondiale, per evitare che l’esercito tedesco portasse via la statua per ricavare ordigni bellici dal suo prezioso materiale, come avvenne per un’inferriata prospiciente il monumento ai caduti di tutte le guerre, i monticiani la dipinsero di bianco, per farla sembrare di gesso o di marmo. L’azione ebbe successo, visto che è ancora al suo posto ad attendere i turisti, a deliziare gli occhi di chi la guarda, ma soprattutto a ricordare il sacrificio dei minatori.
Nel progetto originale la Fontana dell’Angelo, che una volta era chiamata Fontana delle Prata, era cinta, così come lo è oggi, da colonnine di sperone unite da sbarre orizzontali di ferro per impedire l’abbeveraggio dei cavalli e degli asini. Nel 1958 l’Amministrazione Comunale decise di far rimuovere quella struttura, sembra perché i monticiani che si ritrovavano intorno alla fontana, appoggiandosi alle sbarre di ferro, in una certa misura, occultavano la vista dell’opera. Ma in seguito, fortunatamente, le colonnette e le sbarre di ferro furono ripristinate, riportando l’aspetto della fontana a quello che era inizialmente.