Dal libro di Mirco Buffi – “Momenti Monticiani” edito dall’Associazione Culturale Photo Club Controluce
Monte Compatri riconosce in Marco Mastrofini, insigne filosofo e matematico, il suo cittadino più illustre, il più degno di essere ricordato, tanto da dedicargli un monumento in viale Busnago, la Passeggiata, la strada più frequentata del paese, forse la più importante, e una piazza.
Per quanto riguarda la sua vita, il suo lavoro e le sue opere lasciate ai posteri, cedo la parola a Valentino Marcon, eccelso studioso di fatti e personaggi tuscolani, il quale ne tracciò le linee più salienti in un articolo pubblicato sulla rivista “Notizie in… Controluce”, Marco Mastrofini e Carlo Felici: glorie di Monte Compatri, nel numero di Marzo-Aprile 1993.
Marco Mastrofini nacque a Monte Compatri il 25 Aprile 1763. Compiuti i primi studi a Roma entrò alunno nel seminario di Frascati, retto allora dai Gesuiti e particolarmente “curato” dal vescovo tuscolano Enrico duca di York. Grande studioso di filosofia, divenuto sacerdote, gli fu affidata la cattedra (in seminario) di Filosofia e Matematica. Il suo seguitissimo corso di filosofia benché richiesto da più parti, non fu mai pubblicato, mentre poco prima della morte riuscì a dare alle stampe un trattato filosofico in due volumi dal titolo “L’anima umana nei suoi stati, principalmente l’ideologico”. Un’altra opera in due volumi (di cui il secondo non fu edito), la “Metaphisica sublimior…” gli guadagnò elogi da numerosi e insigni porporati del tempo, ma anche qualche critica e polemica ingiusta.
Lasciò diverse “orazioni” in latino e versioni dai classici greci e latini. Tradusse e pubblicò le opere di Sallustio, Lucio Anneo Floro, le “Antichità romane” di Dionigi di Alicarnasso, tutte conservate nel seminario tuscolano fino alla seconda guerra mondiale, quando furono portate in Vaticano insieme agli altri 10.000 volumi della biblioteca eboracense.
Ancora ai primi del ‘900, insigni docenti per le traduzioni dei classici, rimandavano alle opere del Mastrofini.
Fu pure insigne filologo, diede alle stampe il “Dizionario critico dei versi italiani”, opera apprezzata ed encomiata anche dall’Accademia della Crusca, e della quale si fecero ben due edizioni, una a Roma e l’altra a Milano nel 1830. Dal 1808, causa la chiusura forzata del seminario (dovuta ai rivolgimenti politici napoleonici) Pio VII fece sì che, dietro istanza, gli si concedesse una pensione mensile di otto scudi, a cui lo stesso Pontefice volle aggiungerne un’altra di 12 scudi a partire dal marzo 1816 “In contemplazione delle fatiche che egli faceva per la S. Sede e dei meriti letterari che concorrevano nella sua persona”, ed anche per il fatto che il Mastrofini fu costretto a trasferirsi a Roma.
Il Mastrofini fece anche approfonditi studi per una riforma del calendario gregoriano. Nominato consultore della S. Congregazione (vaticana) degli uffici ecclesiastici straordinari, membro del collegio filologico della romana università, quando morì, il 3 marzo del 1845, a 82 anni, aveva insegnato per 21 anni nel seminario tuscolano. Di lui dopo la morte si scrisse: “…più i tempi verranno procedendo innanzi nella scienza delle cose intellettive e trascendenti e più recheranno in alto il nome di Mastrofini, che non sarà più spento, pel correre dei secoli, né per variar d’opinioni” (Mons. Gazola, 1846).
Inaugurando, nella biblioteca del seminario tuscolano alla presenza del vescovo card. Cassetta, il 5 dicembre del 1912, un busto marmoreo di Marco Mastrofini, lo scultore Cesare Aureli, romano, ma tuscolano di adozione, ebbe a ricordare l’elogio che Terenzio Mamiani ne aveva fatto e che Domenico Seghetti riporta nel suo volume “Tuscolo e Frascati”: “nei giorni più felici e più chiari dell’antica Grecia uno straordinario ingegno e un filosofo del segnalato valore del Mastrofini avrebbe riportato dal sapiente suffragio del pubblico la solenne dedicazione di una statua”. Pur non essendo “nell’antica Grecia”, anche il “pubblico” tuscolano dunque, sia pur quasi settanta anni dopo la sua scomparsa ebbe ad “omaggiare” il Mastrofini di un marmo, quale doveroso segno di ricordo e gratitudine. (Il busto in marmo, per la cronaca, si deve all’opera di Vittorio Della Buona, giovane artista della scuola dell’Aureli).