Monte Compatri – Presentatoil libro di Rita Gatta “Cara mamma, caro papà… Lettere dall’Albania nel 1940”
L’Associazione Club Controluce e il Comune di Monte Compatri hanno organizzato la presentazione dell’ultimo libro di Rita Gatta Cara mamma, caro papà… Lettere dall’Albania nel 1940 nella Sala consiliare del Tinello Borghese il 3 febbraio 2023. La manifestazione, già fissata il precedente 20 gennaio era stata rinviata a causa dell’abbondante nevicata, che quel giorno si era abbattuta sui Castelli Romani. Era presente l’autrice del libro, la quale, dopo aver raccontato le motivazioni e le modalità del suo lavoro di ricerca, ha proiettato nella seconda parte della serata immagini di documenti, luoghi e personaggi citati nel suo volume insieme ad alcune fotografie fornite da Dario Dell’Uomo dell’Archeoclub di Monte Compatri, tali da mostrare gli effetti dei bombardamenti sulla città monticiana nel 1940. Oltre a Rita Gatta sono intervenuti: Serena Gara, assessore alla Cultura del Comune ospitante, Alfredo Piacentini, che ha letto brani tratti dal libro, accompagnato alla chitarra da Paolo Vilbonesi e il direttore della rivista Controluce, Armando Guidoni, moderatore dell’incontro. La presentazione del libro è stata svolta da Ugo Onorati, che qui di seguito pubblichiamo.
Un giovane soldato di Rocca di Papa, Luigi Giansanti, cadde sul fronte greco nel 1940. Le sue lettere alla famiglia, conservate per decenni in un cofanetto di legno, sono riemerse dai flutti del tempo grazie all’attenzione di Rita Gatta, che le ha lette, trascritte, commentate. Da questo paziente lavoro fatto di studio e di scrittura affiorano non solo le notizie storiche dell’epoca, ma anche le nostalgie e le paure di un ragazzo, che come tanti altri fu mandato a combattere e a morire per una guerra sbagliata.
Anzitutto occorre dire in premessa qualcosa sulla situazione geopolitica dell’Albania nella prima metà del secolo scorso e dei suoi rapporti con l’Italia.
L’Albania diventò uno stato indipendente soltanto nel 1913, ultimo fra gli altri stati balcanici formatisi a seguito dello sfaldamento dell’impero ottomano. La prima occupazione dell’Albania da parte dell’Italia avvenne nel 1917, durante la Prima guerra mondiale, e con ciò la nostra nazione nel 1921 si ritagliò un modesto ruolo internazionale di stato “protettore”. Nel 1925 la tutela fu trasformata dal governo fascista in una colonizzazione di fatto dell’Albania, considerata un “cortile di casa” affacciato sul mare Adriatico con la compiacenza del presidente albanese Zog, proclamatosi re nel 1928. L’interesse dell’Italia per l’Albania, tra le due guerre, fu mosso soprattutto da due ragioni: economiche e strategico militari. Il motivo economico, improntato da un carattere speculativo di tipo coloniale a favore di imprese e banche italiane, era rivolto allo sfruttamento di alcune materie prime, fra le quali soprattutto il petrolio. Il motivo militare era invece rappresentato dall’Albania quale base operativa per una futura aggressione alla Iugoslavia. Non completamente soddisfatto della leale sudditanza del re albanese, il governo fascista decise il 7 aprile 1939 di invadere l’Albania e annetterla all’Italia in forma di unione personale alla corona di Vittorio Emanuele III. Il 28 ottobre 1940 l’Italia di Mussolini attaccò la Grecia, partendo dal territorio albanese. L’esercito italiano, come sappiamo, fu sconfitto da quello greco, che avanzò poi in territorio albanese.
L’ultima fatica editoriale di Rita Gatta, prolifica autrice di testi in prosa e in poesia, in lingua e in dialetto, è un corposo volume di 300 pagine, pubblicato da Controluce nel 2021, con un’accurata bibliografia – sitografia finale e con un corredo fotografico distinto tra carte geografiche per individuare i luoghi del teatro di guerra, riproduzioni di documenti, fotoritratti delle persone nominate nel testo e preziose immagini del paese di Rocca di Papa in quello scorcio di secolo.
Cara mamma, caro papà… lettere dall’Albania nel 1940 non è un romanzo, ma un saggio storico realizzato sui dati tratti da un epistolario. Quello di un giovane nato a Rocca di Papa il 30 novembre 1920, Luigi Giansanti, primogenito, che riportava il nome del nonno paterno. Era figlio di Giovanni e di Maria Casciotti e morì a soli venti anni sul fronte greco-albanese, durante la seconda guerra mondiale, il giorno 16 novembre 1940 pochi giorni prima del suo compleanno.
Ricevuta la cartolina precetto a gennaio del 1940, Luigi fu assegnato al 14° reggimento di artiglieria della divisione Ferrara, svolgendo il compito di servente al pezzo, trasportato a dorso di mulo.
A febbraio giunse in Albania, sostando a Girocastro per l’addestramento e vi restò fino alla fine di ottobre, senza mai godere di una licenza e quindi senza mai più rivedere i famigliari e la sua amata Rocca di Papa. Passò il confine greco con l’Epiro il 30 ottobre. Poi all’inizio di novembre marciò in colonna lungo il fiume Vojussa in direzione di Gianina, dove non arriverà mai, perché la reazione dell’esercito e dell’aviazione greca fermarono l’avanzata dell’armata italiana dopo una breve penetrazione in territorio nemico. Si decise il ripiegamento lungo la valle del Fitoki, ma intorno a Kani Delvinaki infuriò lo scontro. L’artiglieria greca colpì la postazione di Luigi Giansanti, che morì per una scheggia di granata alla testa. Il suo corpo fu sepolto in un piccolo cimitero di campo del posto, i cui resti torneranno a Rocca di Papa nel giugno del 1954 in una cassetta di legno. A quella vista il padre del ragazzo inveì contro i responsabili di quella morte, sussurrando: «T’ajo mannatu damante giovinottu e tu me remanni ‘na scattuletta» («Ti ho fatto partire che eri un giovane grande e grosso e tu me lo restituisci dentro una cassettina»).
Come spesso è successo in questi casi, la corrispondenza da e per il fronte è conservata dai famigliari, in ricordo della persona cara, come unico e ultimo legame con il congiunto scomparso. Dopo ottant’anni le lettere e le cartoline postali viaggiate sono state accuratamente e amorevolmente lette da Rita Gatta, ordinate cronologicamente e commentate, via via, con l’aggiunta di notizie sui luoghi e sulle persone citate nei documenti.
Nella contestualizzazione storica e geografica degli avvenimenti, nella individuazione dei rapporti di parentela, condotta sui registri parrocchiali di Rocca di Papa, nel corredo fotografico d’epoca e delle famiglie roccheggiane coinvolte in questa impresa, che è insieme paziente lavoro d’archivio e lavoro di storico condensato in un atto narrativo, sta la ricerca intensa e profonda dell’autrice, animata sempre dalla curiosità di sapere lei per prima e poi dalla volontà di farci partecipi di ciò che ha scoperto, di ciò che ha provato nel corso dello studio. Rita Gatta è particolarmente attenta a esaminare tanto i dati generali di riferimento, quanto i dati particolari, ma non per questo meno significativi e preziosi, specialmente in un contesto di storia “minuta”, che rappresenta il maggior valore del libro. Soprattutto l’autrice è spinta da un affetto per la sua città, per i suoi luoghi, per le sue memorie, che alla fine trasferisce e coagula intorno alla descrizione della breve esistenza del soldatino Luigi Giansanti in forma di umana e commossa pietas. Di tutto ciò lei è partecipe, pur mantenendo il dovuto distacco dello storico dall’esame dei fatti, ma proprio per questo ci rende ugualmente partecipi della vicenda, in quanto lettori, coinvolgendoci nel medesimo sentimento dall’inizio alla fine del racconto.
La sostanza del libro, se volete, è tutta qui. Ma non è poca cosa, perché al di là della fatica nell’aver portato a termine questo lavoro, Rita Gatta entra talmente nella storia del giovane caduto, nei fatti storici, che coinvolsero tutto il popolo italiano precipitato nel dramma della guerra, tanto chi era al fronte, tanto chi era a casa, da indurci a riflettere – anche nell’attualità delle cronache – sul non senso della guerra, sulla sua stupida inutilità, sulla idiozia dei dittatori, che provocano queste tragedie universali. Esemplare, in questo senso, appare proprio la decisione personale di Mussolini che decide di invadere la Grecia, anche contro il parere di alcuni generali a causa dell’improvvisazione dell’impresa e dell’impreparazione dell’esercito italiano, per stupida rivalsa nei confronti di Hitler, che aveva appena invaso la Romania, senza aver informato l’alleato italiano.
Rita Gatta compie sommessamente una approfondita ricognizione nel territorio dei sentimenti e degli avvenimenti, entrando nell’animo del ragazzo, immedesimandosi in lui, rivivendo le sue angosce e i suoi tormenti. Arriva a formulare commenti tra le righe delle lettere, che sono una vera e propria esplorazione psicologica. Giunge perfino a dettare lei, alla fine del libro, quelle lettere che Luigino avrebbe voluto scrivere, se avesse potuto, negli ultimi giorni, quelli del combattimento, che non davano tempo e tregua di prendere carta e penna per comunicare ai congiunti quelle ultime terribili esperienze dello scontro armato, che spesso precedono la fine.
A proposito di queste ultime lettere (scritte come detto dall’autrice, abile anche nell’invenzione narrativa), vi confesso che ho provato io stesso una forte commozione personale.
Leggendo il testo e mi auguro che molti lo facciano, perché è un libro che merita di essere letto, si troveranno formule ripetitive usate da Luigino nella corrispondenza ai famigliari. Un po’ per il comprensibile livello culturale dell’interessato, un po’ perché proteso a rassicurare in tutti i modi i suoi parenti. Si possono leggere frasi come: «… sento che state tutti bene, e così pure io mi trovo molto bene; tutti ci vogliono molto bene; si mangia molto bene; mi trovo molto bene e contento ecc.». Luigino non chiede soldi a casa, anzi è lui che risparmia sulla diaria e invia qualche decina di lire ai genitori. Si lamenta soltanto che non riesce, come i suoi commilitoni, a trovare la carta per scrivere e i francobolli per le lettere da spedire ai parenti e agli amici. Ebbene sì, in quell’esercito sgangherato, che era l’esercito italiano, privo di indumenti adeguati al freddo invernale, in difetto cronico di rifornimenti dall’Italia di armi e vettovaglie, non garantiva ai suoi soldati la possibilità di inviare la corrispondenza ai soldati. Questi si arrangiavano a riscrivere sulle parte bianche delle lettere ricevute da casa e poi davano la caccia ai francobolli che pagavano di tasca propria.
L’autrice si cimenta perfino nell’osservazione delle espressioni dialettali e in particolare dell’ortografia usate dal soldatino: con una specifica perizia calligrafica effettuata da esperti si riesce a stabilire il grado di evoluzione psichica del giovane, che da ragazzo diventa uomo, nel corso di pochi mesi. Dalla lunga lista di ringraziamenti a chiusura del libro comprendiamo quale livello di coinvolgimento abbia richiesto la ricerca per la stesura di questo libro: persone e famigliari menzionati nelle lettere rintracciati con santa caparbietà dall’autrice per telefono o mediante facebook per mesi, al fine di raccogliere quante più informazioni possibili.
Il libro è prezioso per Rocca di Papa, di cui rappresenta lo spaccato sociale e culturale della prima metà del Novecento, ma anche per la storia nazionale, perché è un tassello di un mosaico più grande. Nessuna storia, che qualcuno si ostina ancora a definire “locale”, può essere considerata porzione di poco conto di una storia universale. E ancor più questa ricerca è preziosa per noi tutti, proprio oggi, perché ciò che emerge dai flutti del passato torna a essere viva memoria del presente, attualità dei nostri giorni. Lì dove l’autrice, interpretando il pensiero di Luigino e di chissà quante altre migliaia di poveri, semplici ragazzi, mandati a morire senza senso lontani da casa, trasformati da ragazzi in uomini sotto il peso delle sofferenze patite, sostiene: «Chi ha previsto che sarebbe stato semplice spezzare le reni ai greci, dov’è? Chi gioca con le nostre vite, perché non è qui tra noi? … piove e manca il pane … non sono il coraggio e la volontà che mancano, manca chi ha deciso che le vite di tutti noi potevano essere date in pasto a un nemico che noi abbiamo attaccato, un nemico che sa vendere cara la pelle … manca chi sappia dare ordini, che sappia veramente cosa stiamo facendo».
Ecco, la lezione che possiamo trarre da questi eventi, che lontani davvero non sono, possono così riassumersi: l’insensatezza della guerra, l’inutilità delle distruzioni, come quelle che si sono abbattute sul popolo ucraino, sulle vite spezzate di tanti ragazzi da una parte e dall’altra. Per nulla! Uno spreco di Umanità, di energie, come potremo ancora una volta constatare tra qualche anno a proposito della guerra attuale, stupidamente provocato da dittature, che ancora pensano di potersi ritagliare in questo modo un posto nella storia.
In conclusione va evidenziato il coraggio dell’editore nell’aver voluto dare alle stampe un volume di questa portata, con il quale mostra ancora una volta il suo spiccato interesse per tutto ciò che riguarda i nostri Castelli Romani. Un plauso maggiore va all’autrice per il faticoso lavoro, che non si limita a Rocca di Papa, essendo svolto a vantaggio della coscienza e della conoscenza collettiva. In questo libro, infine, rivive la memoria di Luigino, che non è certo un eroe da propaganda, quanto piuttosto uno di noi, un nostro figlio, un buon ragazzo come tanti, per il quale la fatica di Rita Gatta può essere considerato un parziale risarcimento del nostro secolo al furto della giovane vita perpetrato ignobilmente nei suoi confronti.
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