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Monsieur Abeille e l’enigma del numero 3

Maggio 25
13:32 2014

L'economista Guy AbeilleLa storia che stiamo per raccontare ebbe inizio una sera di maggio del 1981, a Parigi.
Da pochi giorni s’era spenta l’eco delle Renault e delle “2 cavalli” che percorrendo a velocità sostenuta, nella notte del 10, i larghi boulevards facendo tappa a Place d’Italie, alla Bastiglia, in Rue de Solférino, salutarono così, a claxon spiegati, la vittoria di Mitterrand alle presidenziali di quell’anno.
Folle di giovani uscivano dal metrò felici, con i pugni alzati, scandendo ad alta voce il suo nome. Coluche il comico e l’attrice Annie Girardot offrivano rose rosse ai passanti e orchestrine improvvisate intonavano La Marsigliese a ritmo di reggae.

Il 14 luglio era arrivato in anticipo. Al Ministero delle Finanze, nonostante l’ora tarda, le finestre erano ancora illuminate. Bilgèr, il direttore del Dipartimento del Bilancio, un uomo solitamente calmo e sempre bendisposto con chiunque avesse di fronte, quella volta era in preda al panico. Agitato, camminava avanti e indietro nel suo ufficio, bloccandosi ogni tanto per mordersi le nocche delle mani, mentre un giovanotto di trent’anni, fresco di laurea in economia, lo osservava incuriosito.
«Avete capito adesso, mon ami, ciò che vuole il Presidente? Una regola, una formula cartesiana da opporre a tutti quei suoi ministri che come sanguisughe sgusciano con mille pretesti nel suo studio solo per reclamare l’argent!» sbottò Bilgèr puntando sul ragazzo come per investirlo. «E questa regola serve subito, dopodomani al più tardi. Siamo sotto pressione. E la spesa pubblica non può essere aumentata. Ci siamo esposti troppo, in queste elezioni. Avete capito bene, Guy?».
«E se ho capito bene, non volete la virgola, vero?» replicò pronto il ragazzo.
«La Francia ve ne sarà riconoscente per gli anni a venire» affermò Bilgèr con un sorrisino tirato, intuendo prontamente che quell’occhialuto esperto di matematica ce l’avrebbe fatta.
Uscendo dal Ministero, all’interno del Louvre, Guy Abeille si fermò a comprare un pacchetto di Gitanes e con quelle si rifugiò in un bistrot ancora aperto per un ultimo caffè. “Come imporre alla nazione un parametro, un principio inoppugnabile per cui le spese dello Stato non possono superare, per nessun motivo, il Prodotto Interno Lordo?” era la domanda che Bilgèr gli aveva posto un’ora prima e che ora gli fischiava in testa come una locomotiva impazzita. Buttò giù due conti su un tovagliolino di carta del locale. Scrisse: “100 miliardi deficit pubblico a oggi = 2,6% Pil”. Un po’ meglio dell’1, ma ugualmente insostenibile per lo Stato. “Lo farebbero nero, il povero François!”, pensando al presidente appena eletto.
Dal pacchetto di sigarette poggiato sul tavolino, la zingara intanto pareva osservarlo. La gonna gonfia per il ballo e il braccio alzato con il ventaglio, suggerivano qualcosa allo stanco Abeille. Tra il fumo e le tante piroette che la figurina stava facendo solo per lui, una in particolare lo fece saltare sulla sedia: la gitana lievissimamente, alla fine della danza, aveva formato dapprima un 8 poi sicuramente un 3 prima di fermarsi di nuovo. Ma a quel punto il giovane studioso di economia aveva già deciso: il rapporto deficit/Pil, in Francia, sarebbe stato fissato al 3%.

Un buon numero storico
La storia delle Gitanes è inventata. Il resto è vero. Nel 1993 la cifra che, come ricorda lo stesso Guy Abeille oggi sessantaduenne, non scaturì da complicati studi o da fredde teorie sui sistemi produttivi ma soltanto perché, parole sue, «era un buon numero, storico, che fa pensare alla Trinità», diventò un pilastro del Trattato di Maastricht.
Uno dei fondamenti che reggono le politiche di austerità europea di questi anni e che il Presidente del Consiglio italiano intende rispettare, con i contraccolpi che questa decisione inevitabilmente provoca nelle vite di noi tutti, è quindi una pura invenzione, senza basi scientifiche, creata in un’ora.
Il quotidiano Le Parisien è stato uno dei primi a lanciare questa notizia, seguito dal nostro Il Sole 24 Ore.

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