Mezzogiorno dell’animo: Un’altra pedalata, un altro giro
“Mezzogiorno dell’animo” è l’ultimo libro di Enrico Pietrangeli uscito lo scorso novembre con la CLEUP di Padova, si suddivide in dodici sezioni compiendo un ciclo sul dolore con testi perlopiù compilati a partire dall’epilogo di un altro ciclo, quello della scorsa rassegna estiva di poesia e bicicletta denominata CicloInVersoRoMagna 2011. Sarà presentato per la prima volta a Padova giovedì 23 febbraio 2012, alle ore 18 – Libreria Zannoni in Corso Garibaldi – 21 (ang. Largo Europa). A seguire viene riportata una nota di lettura realizzata da Giulia Penzo che, insieme a Luciano Nanni, Vincenza Fava e Andrea Bisighin, interverrà nel sopramenzionato evento.
Il mondo si divide in due umane categorie: e non è letteratura.
Gli uni si immergono nel mondo per vivere e coglierlo insieme, attraverso le emozioni e il sentimento. Gli altri vivono, semplicemente vivendo per sé. Gli uni sono tanti, ma deboli. Gli altri pochi, ma forti. I primi si lasciano trascinare dal dubbio come acqua di fiume.
Gli altri sono sassi, forti della loro certezza di potere sul mondo, sono i sassi sul greto del fiume. Poi capita l’irreparabile: l’acqua smuove anche i sassi più grossi, insinua il dubbio sulle certezze degli altri. E nasce la poesia.
È questa la poesia di Pietrangeli che s’incunea, simile all’acqua che smuove.
È poesia rigenerante e sferzante, piena di vita, perché fa amare la vita.
È l’acqua dolorosa del parto.
“Partorirai nel dolore!”, disse.
Nasciamo nel dolore e la prima esperienza ci viene offerta proprio nel momento in cui ci apriamo alla vita: il nostro dolore è il dolore dell’altro, della madre. Un dolore che poi per tutta la vita cercheremo di evitare o cercheremo di sperimentare nuovamente per “sentirci vivi” proprio come quella prima volta.
È questa la natura ambivalente del dolore.
Lo allontaniamo, lo evitiamo, lo cerchiamo, cerchiamo di annullarlo, di annientarlo.
Il dolore è il sintomo di qualcosa che non va; dentro di noi suona questo campanello d’allarme che ci avvisa che nel nostro corpo qualcosa non sta funzionando, e non solo nel nostro corpo.
Il dolore può essere sintomo di una malattia dell’animo.
Come non definire dolore quello che si prova dinnanzi alla perdita di una persona amata o nel fallimento della propria vita sociale e lavorativa?
Quel sentimento che proviamo e che ci toglie la voglia di vivere?
C’è tuttavia un limite alla sopportazione del dolore. C’è il momento in cui il dolore sovrasta qualsiasi altra nostra sensazione e ammorba l’esistenza, trasformandosi in malattia.
Contro il dolore come combattere. Come!
Potremmo usare farmaci. E d’altra parte la medicalizzazione di qualsiasi nostra parvenza di sentimenti fa parte della società odierna.
Oppure possiamo scegliere una strada, un percorso faticoso, non privo di rischi, attingendo alle nostre risorse personali.
Ed è questo il percorso che sceglie di fare il poeta Enrico Pietrangeli nel suo “Mezzogiorno dell’animo”, edito nel novembre 2011 per la CLEUP di Padova.
Non è un caso che il poeta cominci il viaggio a partire dalla sua esperienza di ciclo-poeta, all’interno di un progetto che prevede il connubio tra poesia e natura, in un viaggio in bici caratterizzato da performance poetiche e soprattutto umane, capaci di offrirci la grande metafora della vita:
Con ciclo inverso e diverso,
altra ruota girerà sul verso,
l’incompiuto giro d’una pausa
in attesa di un moto perfetto.
La ruota della bicicletta è la ruota della vita che ciclicamente gira, “veicolo del tempo”.
Il primo giro: l’agnosticismo, e tutto appare assurdo.
Tutto assurdo, centripeto,
di una bellezza sconcertante
il vivere e la sua parodia di morte;
un logoro suono, traccia magnetica
divelta arando superstite giradischi.
…
Deliziosi insetti accompagnano la narrazione poetica, ora simili alle patrie Frecce Tricolori, ora ronzanti sulle anime dei defunti.
Qui la poesia di Pietrangeli assume i contorni della poetica di Poe, con un linguaggio aulico mai artefatto.
Appare l’accenno a un mistero che si autodefinisce e si limita.
Non sarà mai tutto come prima,
quando i neuroni risplenderanno
come stelle nell’universo plasmato
tutto, allora, sarà quel che È.
Un’altra pedalata, un altro giro, e Pietrangeli comincia il lavoro dell’acqua, il suo lavoro da poeta. E insinua il dubbio, o forse qualcosa di compiuto.
Lasciamo una storia, un fine
anziché un’altra vicenda di fine.
Cerca di porgerci un Valore aggiunto, quello di un dolore non come premessa, ma come strumento per “oltrepassare la porta del cuore”, perché “… le vie di mezzo non salvano, generano mediocri”. La fede viene abbracciata senza riserve: “Cristo è infinito, incondizionato amore”.
La poesia diventa preghiera, con improvvide cadute nell’amore più intenso, quello carnale.
Perché mistico, l’erotismo si avviluppa con spire più pericolose, portatrici di morte e d’estasi.
E si monda.
La dolcezza viene appena sfiorata, per lasciar spazio alla compassione.
Appare l’ultimo dono, il darsi, il tradurre la poesia d’altri e farla propria, lasciandoci la traduzione di una poesia di Francesco De Icaza, Madrigal de la muerte.
Nei prati contaminati da corpi, sbocciano i fiori, il sole si fa alto, illumina l’ultimo giro di ruota.
È mezzogiorno, mezzogiorno dell’animo.
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