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“Memoria dell’antico nell’arte del Novecento”

“Memoria dell’antico nell’arte del Novecento”
Novembre 11
11:30 2009

memorieL’idea del libro scritto da Ornella Casazza e Riccardo Gennaioli è di definire i percorsi dell’ispirazione e le influenze del tempo e della tecnica sui linguaggi moderni delle arti plastiche e figurative. Il testo, pubblicato da Giunti Editore, prende il titolo dalla mostra “Memorie dell’antico nell’arte del Novecento” da loro organizzata e ospitata a Palazzo Pitti di Firenze fino al 12 luglio. Un saggio che cataloga le 130 opere presentate e le confronta singolarmente con il proprio modello di riferimento. Vi sono infatti creazioni che “dialogano” tra loro per riscoprire «testimonianze estetiche universali, di significati che non hanno mai perduto il valore dell’immanenza nella nostra vita e che concedono quindi la possibilità di un recupero fatto di canoni e di misure, di moduli, di lezioni capaci di dominare anche oggi il nostro esistere quotidiano». È uno studio-rivalutazione di arti poco considerate (come l’oreficeria) insieme a quelle moderne (fotografia, cinema, architettura e lavorazione del vetro) che rintraccia precisi referenti storici. Le indagini riguardano soprattutto il lavoro degli artisti che si raccolsero intorno alla rivista “Valori Plastici”di Mario Broglio dal 1918 al 1922: Carrà, Soffici, De Chirico – esponenti della pittura metafisica ed altri avanguardisti moderati – si fecero promotori di un “ritorno all’ordine” che mirava al recupero di quella “consapevolezza storica” che nei primi anni del XX secolo sposò i valori nazional-fascisti attraverso un recupero del classicismo, spesso esasperato. Nel testo, moltissimi sono gli esempi di citazioni dell’antichità anche di autori contemporanei: li troviamo in Michelangelo Pistoletto, Luigi Ontani, Enzo Cucchi – che traggono spunti significativi dai periodi più fecondi della pittura rinascimentale o dalle tecniche delle tradizioni orientali o africane – in Gio Ponti – che si rifà all’arte statuaria egizia – e nel giapponismo di Emilio Greco. Gli autori spiegano come l’accuratezza tecnica, la ricerca dell’equilibrio e la scoperta del “primitivismo” assumessero per l’epoca precise valenze storico-simboliche, sia nella riscoperta dell’archetipo, per esaltare la purezza “ideale” dell’arte, sia nel suo completo svuotamento a favore dell’insorgenza di nuovi miti: la lettura di una pagina della nostra cultura che fu filtrata anche dalla politica e dall’ ideologia.

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