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In memoria del presidente Alessandro Margara

Agosto 04
05:55 2016

Come cittadino detenuto colpevole, come ex detenuto, come cittadino libero, debbo molto all’intelligenza e alla fermezza di questo Magistrato, soprattutto in questo tempo di impegno e di responsabilità.
Ho conosciuto il Dott. Alessandro Margara come Direttore Generale del D.A.P. in più occasioni, ho avuto a che fare con l’Uomo e con il Giudice, in entrambi i casi ; il rigore non ha mai disgiunto strada alla sua umanità, né l’autorevolezza della sua vista prospettica armeggiare con gli scarponi chiodati dagli interessi di potere.
Nelle sue parole, azioni, analisi, traspariva la necessità di un ripensamento culturale che affermasse la giustezza di un principio, il quale non è filtrato da scuole di pensiero o strumentalizzazioni ideologiche: in carcere esiste un prima, un durante e un dopo, più il carcere recupererà persone, più il problema della sicurezza sarà soddisfatto, contrariamente a ciò che si è cercato di fare passare come principio sofistico.
Margara stava anch’egli al centro del percorso del detenuto, dovendo fare camminare insieme con equilibrio e senza dimenticanze la funzione di salvaguardia della collettività e quella di recupero fattivo delle persone ristrette.
Il carcere, il luogo per eccellenza più separato, escluso, ghettizzato, diventa lo spazio più facile da rimuovere culturalmente. Se il carcere che si vuole fare nascere non avrà spazi di risocializzazione, perché costruito su un ragionamento di solo contenimento del fenomeno criminale, se gli spazi in questione verranno immediatamente occupati per la troppa abbondanza di carne umana, mi sembra chiaro che continuerà a venire meno la funzione stessa della pena e cosa ben peggiore aumenterà la recidiva e la società si ritroverà in seno uomini ancora più incalliti di quando sono entrati, peggio uomini ritornati bambini incapaci di fare scelte responsabili.
In questo senso assume grande rilievo l’impegno profuso dal Presidente Alessandro Margara, il suo tentativo di alimentare processi ripetuti di relazioni e interazioni, affinché fosse possibile un cammino di crescita individuale attraverso la sinergia di quattro poli convergenti: Magistratura, Istituzione Penitenziaria, Società e Detenuti.
Egli sapeva benissimo che se solo una di queste componenti viene meno tutto il progetto è destinato a fallire.
Lo stesso dibattito sulla Giustizia e in questo caso sulla pena e sul carcere è costantemente avvelenato dal flusso comunicazionale non sempre corretto e leale.
Per cui il bene e il giusto che si riesce a fare in una galera, nelle persone ricondotte al vivere civile, premessa per ogni conquista di coscienza, rimangono ultimi e dimenticati.
Margara con questa ingiusta croce ci ha fatto i conti ripetutamente.
Di conseguenza rivendicare la propria dignità, ognuno per sua parte e nel proprio ruolo, sfugge a ogni regolamentazione giuridica e umana, ciò per una politica contrapposta e distante che disgrega e annienta quei “ponti di reciproco rispetto “a fatica mantenuti insieme.
Margara ha cercato di insegnare a tutti: cittadini liberi e non, che il “carcere è società”, allora come può una società non sentirsi chiamata in causa, non avere la consapevolezza che è suo preciso interesse occuparsi di ciò che avviene, o peggio, non avviene dentro un carcere?
La ringrazio ancora Signor Presidente e buona strada.

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