Mariani (Lista Civica per il Lazio) Lettera aperta
Eppure basta affacciarsi alla finestra per comprendere la portata degli smottamenti che stanno attraversando la nostra società. Se le ultime fasi dell’estate sono un assaggio di quello che ci aspetta in autunno, possiamo dire senza alcun rischio di errore che Governo, partiti e sindacati si trovano oggi sostanzialmente impreparati ad affrontare la situazione.
È iniziata la seconda fase della crisi: scampato il pericolo di collasso del mercato finanziario, ora gli effetti si cominciano a vedere sul mercato del lavoro. A fronte di una modesta ripresa economica, impennano gli indici sulla disoccupazione. Di fronte a tanta rassicurante retorica bisognerebbe ricordare semplicemente che l’Italia è il paese europeo che meno ha speso per fronteggiare la crisi (0,7% del Pil contro una media del 4% in Europa, 5,7% in Usa, 6% in Francia e Germania, oltre il 12% in Gran Bretagna). Ma questo non basta. Al quasi inesistente stanziamento di fondi per contrastare gli effetti della crisi si deve aggiungere che il nostro Paese è quasi totalmente sprovvisto di quegli strumenti di welfare capaci di intervenire in modo efficace sulle emergenze. Se comparati con quelli degli altri paesi europei, i nostri cosiddetti ammortizzatori sociali sono a dir poco incapaci a rispondere alla situazione attuale. Definiti su misura di un mondo del lavoro superato, gli attuali ammortizzatori riescono a fatica ad applicarsi nelle grandi realtà industriali del Paese, lasciando scoperto tutto il resto: piccole e medie imprese, lavoratori precari e giovani.
Accanto a questo c’è poi da sottolineare che sono le stesse forme di contrattazione e di trattativa ad essere saltate. Alla difficoltà dei sindacati di essere presenti nelle realtà lavorative si deve aggiungere il progressivo svuotamento delle forme classiche della contrattazione e della lotta, sempre meno efficaci. Basti pensare alla sempre minore incisività dello sciopero.
Allora diventa quantomeno strano e bizzarro stupirsi di fronte a forme di protesta anche estreme e spettacolari. Dagli operai dell’Innse che sono saliti sul carro ponte, ai vigilanti dell’Urbe sul Colosseo e in sciopero della fame, agli occupanti delle case sui Musei Capitolini fino agli insegnati precari che hanno occupato il tetto del Provveditorato agli Studi o agli studenti dell’Onda che decidono di occupare un palazzetto sfitto per farne uno studentato. Tutti questi lavoratori e cittadini sono accomunati dalla voglia di farsi sentire, di non essere condannati alla sconfitta né di accettare la disperazione individuale come unico destino, di trovare soluzioni nonostante il silenzio delle istituzioni. Hanno ragione da vendere, e l’hanno dimostrato.
Soprattutto queste forme estreme di lotta hanno fatto affiorare i giganteschi limiti della politica. Non è uno sport e neanche un passatempo quello di sostenere come si può queste proteste, utilizzando la propria postazione istituzionale e mettendola al loro servizio. Non c’è in questo alcuna ansia di visibilità, c’è invece la sensazione di dover prestare attenzione a coloro che cercano con tutte le loro forze di trovare degli spiragli di speranza. L’errore sarebbe quello di sottovalutare queste esperienze oppure quello di affrontarle separatamente, senza rintracciare degli elementi comuni. Soprattutto questi spiragli devono valere per tutti perché ci consentono anche a noi politici di ragionare in modo non retorico, sulla crisi della politica e su una sua possibile via d’uscita.
Da dove ripartire dunque, nel momento in cui dalle centrali dei maggiori partiti e dei maggiori sindacati non sembrano pervenire segni di vita? Nel momento in cui il precipitare della situazione economica e sociale rischia di lasciare sulla strada intere vite?
Non abbiamo ricette, chiaramente, ma alcune indicazioni si. Soprattutto una: rimettere al centro della nostra attenzione la vita e la sua qualità. Occorre ribaltare il piano, avere il coraggio di farlo e trovare i canali giusti per concretizzarlo. Non c’è niente di retorico in questo. E’ lo stesso premio nobel per l’economia Joseph Stiglitz ad incoraggiarci su questa strada. Se Stiglitz denuncia il Pil (Prodotto Interno Lordo) come uno strumento inadeguato per la misurazione delle performance economiche e del livello di vita delle persone, appare chiaro che ci troviamo di fronte alla necessità di ridefinire radicalmente, e senza troppi scrupoli, le stesse categorie con cui ancora leggiamo la politica e la società. Appare chiaro soprattutto che il ruolo che hanno svolto negli ultimi anni gli indicatori economici nell’orientare da soli le scelte politiche e di governo deve fare spazio alla valutazione del benessere delle persone. Per questo una seria politica di Welfare deve, non solo spingersi oltre i propri confini, includendo categorie sociali per troppo tempo escluse, ma deve al tempo stesso lanciarsi in una politica di investimento sul sociale, sulle sue risorse nascoste dalla statistica, su settori di mercato che mettono al centro la conoscenza, la cultura e la cura alle persone, cioè settori il cui sviluppo terrebbe insieme crescita economica e benessere generale delle persone. Ci sono per adesso, nella Regione Lazio, solo timidi segnali che vanno in questa direzione: dalla legge sul Reddito Minimo Garantito nel Lazio che, seppur con molti limiti ancora da superare, sta tentando di aprire un varco nella definizione di nuovi diritti, alla riforma del sistema socio-sanitario. Ma questo non basta, evidentemente. In un certo senso la sfida più grande che abbiamo di fronte è quella di non condannarsi ad amministrare il presente, ma quella di immaginare delle strade nuove. Tutto si gioca in una velocità estrema in questo momento, con il rischio concreto di deragliamenti e regressioni. Ma è comunque questo il tempo per giocare, convinti che chi aspetta che le acque si calmino per riprendere a parlare, rimarrà senza più argomenti né voce.
Peppe Mariani
Presidente della Commissione Lavoro, Pari Opportunità, Politiche Giovanili e Politiche Sociali
www.peppemariani.it
tel. 0665937932 – 3296140361
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