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Maria Lanciotti: nuove uscite in libreria

Ottobre 26
17:19 2013

Credo si possa dire che contraddistingue l’autrice una forte carica umana e una forte passione civile che trasfonde negli scritti e da questi torna alle vicende cui essa stessa assiste, come molti cittadini, nel territorio nel quale vive e lavora, i Castelli Romani: la disgregazione del tessuto paesistico, l’avanzata continua del cemento, le difficoltà di una grande comunità che fatica ad essere tale, etc. Un territorio ricco di storia e suggestioni quasi abbracciato dai tanti interessi dell’autrice: Ciampino per motivi esistenziali, Frascati per motivi sentimentali, Velletri per adozione, Monte Compatri per scelte professionali, divenuti tasselli importanti di una storia vissuta in cammino, assieme agli altri.
D. Quando hai capito che il tuo vissuto sarebbe diventato scrittura?
R. Non me lo sono mai chiesta, convinta come sono che il vissuto di ognuno si presti ad essere raccontato, e non soltanto attraverso la scrittura. Potrei dire, ora che ci penso, che fin dai primi tentativi letterari, e dunque da adolescente, fossi stata consapevole dello stretto legame che intercorre tra vita e scrittura.
D. Nei tuoi libri le donne sono, come minimo, testimoni ma sono donne fiere, forti: mi vengono in mente le protagoniste de La figlia della rupe ma anche le donne che s’affacciano dai ricordi scritti e fotografici de L’erba sotto l’asfalto. Cosa potresti dire sul loro ruolo, posto che l’attuale condizione di scacco della donna è frutto di una cultura che avrebbe bisogno di nuovi stimoli e che molti uomini che ‘non amano le donne’, alcuni dei quali tristemente noti alle cronache, sono stati ‘educati’ da donne?
R. Una domanda che apre un discorso immenso. Riguardo alle donne dei miei libri, Mara de Il serpente è innocente, Amaranta de La figlia della rupe, Sarina di Come andarono i fatti, o le nostre nonne e le nostre mamme dei racconti della memoria, sono sempre testimoni, sì, ma anche protagoniste dell’avventura della quotidianità e del continuo divenire dell’esistenza. La ‘condizione di scacco della donna’, come tu dici, che non collocherei nell’attualità ma in ogni tempo, penso sia un fenomeno che andrebbe profondamente indagato dall’intera società. Non condivido la definizione ‘uomini che non amano le donne’ riferita agli autori di veri e propri crimini, spesso accompagnati da oscenità indicibili. Direi piuttosto che si tratti di individui preda delle proprie pulsioni, alla stregua di bestie dissennate. ‘Educati’ da donne, è vero, e sarebbe questo il primo nodo da sciogliere, poiché è la madre, o facente funzione, la prima responsabile della formazione del nuovo individuo. Ed è proprio dalle madri che ci si aspetta di più, per quel ruolo di generatrici e custodi della vita che ad esse è universalmente riconosciuto, e che comporta l’addebito di ogni eventuale manchevolezza o devianza. Con i padri, no, la società non se la prende tanto, e questo non torna a loro favore, come se non rivestissero un ruolo altrettanto importante o peggio ancora come se non fossero ritenuti all’altezza del compito. Ecco forse perché l’universo maschile tende a confinare la donna nell’ignoranza e nell’impotenza, forse nel tentativo di annientare qualcosa che non si riesce a comprendere e che spaventa e di cui non si vuole riconoscere l’innegabile potere. La donna, a sua volta, tende a porsi dalla parte del figlio maschio, quasi lo ritenesse più fragile e vulnerabile, contribuendo così a indebolire la nascente fiducia in se stesso ed a rafforzare una malintesa ‘virilità’ che potrà esprimersi in seguito proprio come ‘vendetta’ rivolta al genere femminile, remota causa di tanto livore. E qui mi fermerei, senza andare oltre con le tante possibili ipotesi che non portano comunque a soluzione.
D. L’erba sotto l’asfalto è il titolo di un tuo memoir (possiamo definirlo così?), credo molto importante fra i tuoi lavori… ma quell’erba che è stata sovrastata da altro, così presente nella tua memoria, è in parte simbolo di nostalgia o quale altro significato gli attribuisci e vorresti le attribuissero le nuove generazioni?
R. Più che della memoria, L’erba sotto l’asfalto – Storie dalla piana dei Castelli dal ’55 al ’75, lo definirei una testimonianza collettiva sul recente passato, la cronistoria di un cambiamento epocale. Il libro della memoria resta, e non solo per me, Campo di grano – Giochi, istruzione, mestieri nella Ciampino del dopoguerra, un lavoro certamente importante come ricostruzione di un periodo doloroso e difficile, ma anche ricco di grandi attese, rivisitato e raccontato col linguaggio semplice della fanciullezza. No, l’erba o quant’altro possa essere stato ricoperto dall’avanzare del tempo e degli accadimenti non simboleggia per me la nostalgia, un sentimento che mi è sinceramente alieno, poiché non credo che esista un tempo da rimpiangere ma semmai da ricordare con tenerezza. Alle nuove generazioni vorrei solo chiedere perdono, a nome di tutta la società post moderna, per quanto è stato loro sottratto e divenuto ormai irrecuperabile.
D. Qual è la tua disciplina di scrittrice? Quando scrivi e cosa ti fa smettere?
R. Non sono scrittrice per mestiere ed è certo che mai lo diverrò. E tuttavia, ora che me lo chiedi, realizzo che osservo la massima disciplina nello svolgimento di questo mio lavoro. Rispettando tempi e modalità che si programmano, direi, autonomamente. Un ordinamento naturale che tiene conto di tutti gli altri grossi impegni, di donna, madre di famiglia, nonna e bisnonna, che hanno la priorità ma non più l’esclusivismo, almeno negli ultimi quindici anni. Abitualmente scrivo dalla mattina alla sera, con gli intervalli indispensabili, cinque giorni a settimana quando mi va bene. Ciò che mi fa smettere (a fatica!) è la consapevolezza che la scrittura non può sostituire la vita, ma anzi di essa necessita per trovare nuovi stimoli e motivazioni.
D. Poiché lavori parimenti sia per la narrativa che per la poesia, ma suppongo che per la seconda non ci si sieda ad un orario prestabilito a lavorare, come fermi un’idea, un’ispirazione se ti trovi, per esempio, a fare la spesa o in autobus?
R. Lavoro per e con “la parola scritta” cercando di sperimentare le sue varie forme ed espressioni linguistiche, che sempre mi sorprendono. Non trovo netta distinzione tra la narrativa e la poesia, generate sempre da un movimento interiore, da uno spunto mutuato dalla realtà. Per la poesia vale per me il pensiero di Valéry: «Il primo verso viene da Dio, il resto è fatica, duro lavoro». In ogni caso l’ispirazione va presa al volo e fissata in qualche modo, buona norma è avere sempre carta e penna sottomano. E poi ogni momento va bene per sedersi al tavolo di lavoro e sviluppare l’idea, sia per la narrativa che per la poesia o l’articolo di giornale, fatti salvi ovviamente eventuali tempi di consegna.
D. Ti propongono una vetrina ideale ma puoi metterci solo tre fra i tuoi titoli, quali sceglieresti e perchè?
R. Suono e visione, Cierre Grafica 2006, che ha rappresentato per me una delle esperienze più formative per cui sono grata a Flavio Ermini, cofondatore e direttore delle Rivista di Ricerca Letteraria Anterem; Campo di grano per la commozione che ha suscitato nei vecchi ciampinesi e l’interesse e la curiosità che ha acceso fra i giovani per “il paese della speranza”. E il titolo inesistente di un libro ancora da scrivere.
D. Qual è stato il narratore, il poeta dopo la lettura dei quali hai cambiato il tuo modo di guardare alla letteratura, alla poesia, e che senti, perciò, possano averti influenzata, consigliacene una lettura se vuoi…
R. Troppi da citare. Tutti da leggere e rileggere.

Trovate una scheda su E dirti ancora – Ibiskos Editrice Risolo su controluce.it/libri/suggerimenti-di-lettura.

Testo raccolto ed elaborato dalla redattrice come per le precedenti interviste.

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