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Magda Olivero: un secolo da leggenda

Magda Olivero: un secolo da leggenda
Marzo 23
14:14 2010

0_8921_7Il 25 marzo, una delle più celebri cantante liriche festeggia cent’anni

Magda Olivero: un secolo da leggenda

Il 25 marzo, Magda Olivero, una delle più celebri cantanti liriche di tutti i tempi, compirà cent’anni. La incontro nella sua casa milanese, serena e felice. Mi dice: <<Ringrazio Dio del tempo che mi ha dato e soprattutto della qualità del tempo che mi ha dato. Cento anni!. Per la verità non me li sento. Certo, arrivare a questa età e poter avere una memoria perfetta, nessun problema inerente all’età che mi dia fastidio, è un grande dono di Dio. Il mio cervello funziona magnificamente, posso ricordare quando avevo tre anni e tutto il resto della mia vita. Dentro di me non sono cambiata. Il mio spirito è quello di quando avevo vent’anni>>
Come artista, Magda Olivero è stata un vero fenomeno. Oltre a una voce stupenda, a una tecnica assoluta, a una musicalità raffinata, possedeva un’arte interpretativa somma. Varie volte, nel corso della sua carriera, le furono assegnati premi che in genere erano riservati ai grandi interpreti del teatro di prosa e del cinema. E’ certamente la cantante che ha avuto la carriera più lunga. Iniziò nel 1932, quindici anni prima della Callas e della Tebaldi, e quando queste due fa¬mose cantanti si sono ritirate, lei ha continuato a pieno ritmo, nei più importanti teatri del mondo. Si ritirò nel 1981, quando morì suo marito. Ma solo per gli impegni di intere opere. Ha continuato invece a tenere concerti. L’ultimo, due anni fa, a 98 anni.
<<Sono fortunata>>, dice lei sor¬ridendo.
<<Non avrei mai imma¬ginato di poter fare una carriera così lunga e così intensa>>.

Siamo nel salotto del suo bell’appartamento milanese. Un salotto zeppo di ricordi della vita privata e della carriera. Foto sul pianoforte, sullo scrittoio, sugli scafali. La signora ce le illustra con voce soave e chiarissima. Si muove sicura, sorride ironica. Una bellissima signora che non dimostra più di 70 anni portati benissimo.
Benché famosissima, ha sempre tenuto la massima riservatezza sulla propria vita privata. Non ha mai frequentato feste, ricevimenti, non ha mai voluto avere un press-agent o un manager. Quando non era impegnata in teatro, se ne stava a casa, con il marito, dottor Aldo Busch, un industriale. <<Sembra strano>>, dice <<ma in casa non sono mai venuti colleghi o direttori d’orchestra. Quando uscivo dal teatro, diventavo una persona qualunque che non aveva più alcun legame con lo spettacolo. Ero una casalinga, come tante. E questo modo di vivere mi ha permesso di coltivare la mia famiglia, che è stato il bene massimo che ho avuto>>.
<<Come è nata la sua passione per la musica lirica?>>.
<<Credo mi sia stata infusa da mio padre. Era un magistrato, ma aveva anche una grande passione per il melodramma e da giovane era stato un tenore dilettante.
<<Sono nata a Saluzzo, a una cinquantina di chilometri da Torino, dove mio padre faceva il magistrato. Ma la famiglia è torinese e io stessa sono cresciuta a Torino>>.
<<Quando cominciò a studiare musica?>>.
<<Da bambina. La musica doveva far parte della mia educazione ma solo come elemento culturale. Tutte le giovinette di buona famiglia allora studiavano musica. A sei anni cominciai lo studio del pianoforte, con il maestro Giorgio Federico Ghedini, il quale poi mi diede lezioni anche di armonia e di contrappunto. Era mia intenzione diplomarmi in pianoforte. Ma avevo una voce potente e una grande facilità a imparare romanze e canzoni. Spesso mi nascondevo dietro un paravento e cantavo. Chi non mi conosceva, pensava che quella voce appartenesse a una signorina di almeno 18 anni ed io invece ne avevo cinque o sei. Tutti gli amici di mio padre dicevano: “Sarebbe un peccato non farle studiare canto”. E così all’età di tredici anni, cominciai al Conservatorio anche lo studio del canto>>.
<<Con successi immediati, immagino>>.
<<Al contrario. Gli inizi furono disastrosi. Continuavo a cambiare insegnante. In pochi mesi ne cambiai tre, ma i risultati erano sempre gli stessi: avevo una voce potentissima, selvaggia e nessuno riusciva a insegnarmi a dominarla, ad usarla.
<<Una delle insegnanti mi disse che non sarei mai potuta diventare cantante perché avevo dei difetti fisici, una malformazione che mi impediva le lunghe emissioni di voce. Soffrivo nel sentirmi dire queste cose. Non pensavo alla carriera. Ma ormai volevo studiare canto per ripicca, per far vedere che non avevo alcun difetto, che ero capace di usare la voce che Dio mi aveva dato.
<<Anche mio padre soffriva nel vedermi demoralizzata e preoccupata. Un giorno un amico di mio padre gli disse: “Se Magda vuol proprio cantare perché non le procuri un’audizione alla radio? Io ho dei cari amici che la possono presentare”. Mio padre accettò. Quella audizione doveva essere la prova definitiva: se avessero espresso un giudizio negativo, avrei smesso di studiare canto.
<<Le raccomandazioni allora erano rare ma valevano molto. L’amico di mio padre, una persona importantissima scrisse un biglietto col quale andai all’audizione. La commissione esaminatrice era composta dai maestri Ugo Tansini, Attilio Parelli e altri due di cui ora non ricordo i nomi. Cantai la romanza della Bohème di Puccini “Mi chiamano Mimi” Al termine il maestro Tansini disse: “Non c’è voce, non c’è musicalità, non c’è personalità, non c’è niente: le consiglio di cambiare mestiere”. Restai allibita. Uno degli esaminatori, che teneva in mano il biglietto di presentazione e continuava a leggerlo, lo fece vedere al maestro Tansíni dicendo: “La signorina è molto giovane. Non ha mai cantato in pubblico. Forse è stata tradita dall’emozione. Io proporrei una seconda audizione, tra qualche giorno”. Tansini, leggendo quel biglietto di raccomandazione e vedendo da chi era firmato, capì e mi concesse una prova d’appello.
<<Tornai dopo una settimana. La commissione era sempre la stessa, ma questa volta c’era anche il maestro Luigi Gerussi. Ripetei la stessa romanza ma il giudizio di Tansini fu di nuovo negativo. “Zero”. disse: “per me non c’è niente da fare”. “Io non condivido il tuo pensiero”, intervenne il maestro Gerussi. “Questa ragazza ha un’ottima voce, ma nessuno le ha insegnato ad adoperarla, a respirare, a sostenere i polmoni usando I muscoli dell’addome. Può diventare molto brava”. “Senti, Luigino”, rispose Tansini “se tu hai tempo da perdere, insegnale qualche cosa ; io non ci voglio mettere le mani”.
<<Terminò così la mia audizione radiofonica. Ero stata bocciata, ma avevo trovato un maestro eccezionale. Cominciai subito la scuola la con Gerussi. . E’ stata la più grande tragedia della mia vita. Le precedenti insegnanti mi avevano quasi rovinata. Gerussi è stato feroce con me. Di una durezza inaudita. Un giorno, disperata, mentre facevo un vocalizzo e non riuscivo come voleva lui, dissi: “Maestro, non ce la faccio”. E lui mi guardò torvo e rispose: “Ricordati, anche se dopo tu muori lì, a me non importa niente, ma prima di morire tu devi fare quello che ti dico io”.
<<Tornavo a casa come se fossi stata bastonata. Mi facevano male i muscoli della schiena, del torace, dello stomaco, perfino le mani mi facevano male. Ma piano, piano cominciai a capire, e imparai che cosa significasse cantare. In un anno, il maestro Gerussi mi trasformò. Debittai a Tonino nel 1932 con grande successo. L’anno successivo ero già alla Scala di Milano. Iniziai una carriera strepitosa, che mi diede grandissime soddisfazioni>>..
<<Lei, signora Olivero, diventò famosa in poco tempo. Era applaudita ovunque ed era considerata la più bella primadonna della lirica Italiana. Come si trovò in quel ruolo?>>.
<<Non sono mai stata una diva, se è questo che vuol sapere. Anzi, ho sempre disprezzato il divismo. La musica è una cosa seria. Un artista è come un buon soldato: deve essere sempre pronto a sacrificarsi per servire l’arte e il teatro.
<<Più che la mia carriera e il mio succes¬so personale, io ho amato la musica, le opere e gli autori. Quan¬do mi applaudivano, pensavo sempre all’autore dell’opera e dentro di me dicevo: “Questi applausi sono per te, Verdi, per te, Bellini, per te, Cilea, per te, Mascagni, per te, Puccini”. In quei momenti sentivo vicino a me lo spirito del maestro e provavo una grande fe¬licità. Credo che questo stato d’animo di serena e devota dedi¬zione all’arte, sia stato il segreto della mia lunga carriera>>.
<<Dopo appena nove anni di successi strepitosi, lei, improvvisamente, scomparve. Che cosa era accaduto?>>.
<<Fu nel 1941. Ero innamorata e mi sposai. Fin dall’inizio della carriera avevo detto a me stessa che se un giorno mi fossi sposata avrei abbandonato il canto. La professione di moglie, e soprattutto di madre, è così importante che non credo si possa dividerla con altre attività. Inoltre, c’era la guerra e non volevo restare lontana da mio marito. Con le nozze, perciò, diedi un taglio netto alla vita passata e mi misi a fare la casalinga a tempo pieno, come se non avessi mai messo piede su un palcoscenico.
<<Era mia intenzione non tornare più a cantare. Per nove anni rimasi ferma in questo proposito, sebbene fossi continuamente tormentata da direttori d’orchestra e sovrintendenti di teatri che mi scongiuravano di riprendere l’attività>>.
<<E perchè poi è ritornata?>>.
<<Lo feci per il maestro Francesco Cilea. Durante gli anni di attività, prima del matrimonio, avevo interpretato parecchie volte il suo capolavoro, Adriana Lecouvreur. Il maestro mi aveva detto che ero riuscita a entrare nello spirito della sua Adriana come nessun’altra interprete, che ero andata oltre le note che lui aveva scritto. Quando mi ritirai, Cilea ne fu molto amareggiato e continuò a scrivermi, inutilmente, perchè tornassi a interpretare la sua Adriana.
<<Poi, nel maggio del 1950, venne a trovarmi Il maestro Serafin con Il barone Mazzonis e Il commendator Ostali. Mi dissero che Cilea era molto ammalato e che ripeteva: “Prima di morire vorrei riascoltare la mia Adriana interpretata dalla Olivero”. Il maestro Serafìn aggiunse: “Non puoi lasciar morire quel povero vecchio negandogli questa soddisfazione”. Rimasi molto colpita e risposi che ci avrei pensato. Riflettei a lungo, da maggio ad ottobre. Erano nove anni che ero sposata e non avevo avuto figli. Ormai sapevo con certezza che non sarei mai diventata mamma. La ragione principale per cui avevo abbandonata la carriera artistica, veniva perciò a mancare. Decisi di ritornare. Il 19 ottobre 1950 firmai il contratto per interpretare Adriana Lecouvreur. Il maestro Cilea ne fu informato telegraficamente, e in dicembre dovevo andare a trovarlo insieme con il commendator Ostali. La data della visita fu spostata per impegni del commendatore, e il 22 dicembre Cilea morì>>.
<<Interpretò poi l’opera di Cilea?>>.
<<Certamente. Adriana Lecouvreur fu l’opera che segnò il mio ritorno e insieme fu la commemorazione ufficiale per la scomparsa del grande maestro. Da allora continuai a interpretarla in tutto il mondo. Non so quante recite ho fatto di quest’opera, ma credo siano centinaia. La mia vita artistica è legata a quest’opera, e anche certe date della mia vita privata coincidono con le recite di Adriana Lecouvreur>>.
<<Ha trovato difficoltà a riprendere la carriera dopo nove anni di inattività?>>.
<<La voce era quella di sempre, l’entusiasmo anche. Il pubblico non mi aveva dimenticata. Anzi, il lungo silenzio, il mistero che si era creato intorno alla mia scomparsa avevano contribuito a mantenere vivo l’interesse sul mio nome e sulla mia persona. I tempi, però, erano cambiati. Nel 1952 erano in pieno boom grandi interpreti come Maria Callas, Renata Tebaldi, Ro¬sanna Carteri ed altre, tutte mol¬to brave. Non tutte vedevano di buon occhio il mio ritorno. Ci fu una guerra nei miei confron¬ti. Cercarono di stringermi in un cerchio per eliminarmi. Io avevo il pubblico dalla mia parte e lasciai fare. Infatti, non ci riuscirono. Continuai a cantare anche dopo che loro erano da tempo finite>>.
<<Qual è stata la caratteristica specifica delle sue interpretazioni?>>.
<<Sono sempre stata definita cantante e attrice. Credo che la mia caratteristica sia stata quella di unire a una buona preparazione musicale e vocale una buona recitazione e un buon comportamento scenico. Sono andata a scuola di recitazione dalla professoressa Dora Setti, all’Accademia d’arte drammatica di Milano, che mi ha sempre considerata (scusi l’immodestia) una delle sue allieve migliori. Recitare é sempre stata la mia passione segreta. Se avessi potuto pensarci prima, avrei fatto l’attrice. Ho sempre frequentato il mondo della prosa ed ho avuto più amici tra gli attori che non tra i cantanti>>.
<<Quante opere aveva in repertorio?>>.
<<82, e tutte portate sul palcoscenico. Preferivo le opere moderne, dove occorre anche saper recitare. Nel mio curriculum artistico ci sono nomi di autori che pochi conoscono e dei quali io, spesso, sono stata l’unica interprete della loro opere. Posso fare dei nomi: Armando La Rosa Parodi, di cui ho interpretato “Il mercante e l’avvocato” alla Rai di Torino ancora all’inizio di carriera, nel 1934. Felice Lattuada, di cui ho portato sulle scene, a Genova, La sua “Caverna di Salamanca”. Sandro Fuga: sono stata Maria, nella sua “Confessione” al Teatro Nuovo di Torino.
<<Un autore che mi piaceva era Gerardo Rusconi, il fratello del celebre Editore Edilio Rusconi. Nel 1972 ho interpretato la sua “Lode alla Trinità”, prima alla Rai di Torino, con la direzione di Piero Bellugi e poi all’Accademia di Santa Cecilia, diretta da Alberto Biondi. Nell’opera di Rusconi c’era da cantare, ma c’era anche da recitare, seguendo i testi originali di Santa Caterina, scritti in quel bell’italiano del Trecento. Si passava dal canto alla recitazione, improvvisamente, e io trovavo quell’opera affascinante, anche se difficile. All’inizio mi ero spaventata, ma poi fui conquistata dalla musica e mi buttai con entusiasmo nel lavoro. In seguito ho riascoltato diverse volte la registrazione e devo dire che è stata una delle più belle recite della mia vita.
<<L’ultima opera moderna la interpretai nel 1977, al San Carlo di Napoli. Era “La visita della vecchia signora” di Gottfried von Einem. Di quel compositore si diceva scherzando: “Ha scritto la musica perchè i cantanti non riescano a impararla”. E per la verità fu una fatica improba. Ma alla fine ho fatto tutto bene, cantando tutte le note che lui aveva scritto. Di fronte a certe difficoltà, il maestro Gracis diceva: “Tagliamo questo pezzo, non è umano”. “No, l’ho studiato e lo voglio cantare”, rispondevo>>.
<<Quali sono I ricordi più belli della sua carriera?>>.
<<Non si possono mai dimenticare certi applausi interminabili alla fine di una recita, ma le cose più belle che la musica mi ha dato sono gli incontri con gli ammalati. Ho sempre ricevuto molte lettere di ammalati che mi hanno conosciuta ascoltandomi alla radio. Mi dicevano che nella mia voce sentivano una grande sensibilità, qualche cosa che li attirava verso di me, convinti che li avrei capiti. Mi confidavano le loro sofferenze. Erano soprattutto ammalati cronici, quelli che non possono guardare con speranza all’avvenire. Ho sempre risposto a tutti. Con alcuni ho tenuto corrispondenza per anni. Gli ammalati mi hanno dato molto, mi hanno fatto veramente capire molte cose della vita.
<<Ricordo un ragazzo di Firenze. Aveva due occhi stupendi, un volto meraviglioso. Per 14 anni restò inchiodato in un busto di ferro, con il corpo deformato. Camminava a stento, soffriva terribilmente nel fisico ma soprattutto nell’animo. Quando lo conobbi era disperato, ma la mia musica gli era di conforto. Gli scrivevo spesso, gli mandavo dischi, libri. Lui mi chiamava “sorellina azzurra”. Quando andavo a trovarlo e vedevo quanta sofferenza e quanta tristezza c’erano in quegli occhi stupendi, mi vergognavo di star bene, di avere un fisico normale. Se cantavo a Firenze, lui veniva ad ascoltarmi. Prendeva posto in un palco. Sapevo che gli piaceva moltissimo un’aria dell’Adriana, e prima di iniziare quella romanza guardavo verso di lui, facevo un gesto che lui conosceva: significava che gli dedicavo quella romanza. So che lui piangeva ascoltandomi, e piangevo anch’io cantando. La musica mi ha permesso di far del bene a tante persone sofferenti, e questi sono e saranno i ricordi più belli della mia carriera>>.
So che festeggiava la ricorrenza religiosa dell’Assunzione di Maria al cielo, il 15 agosto, cantando alla Messa in una chiesa in montagna. Perché?>>
<<Sono sempre stata molto devota della Madonna e quell’appuntamento era un modo per renderle omaggio e per pregare. Pregare a modo mio, cioè cantando, usando quella voce che Dio mi aveva dato. Quegli incontri di preghiera con il canto li ho tenuti a Solda, paesino di alta montagna, nella chiesa parrocchiale dedicata a Santa Gertrude. Cominciai nel 1966, e fui fedele sempre. A volte anche a Natale. Avevo ammiratori che venivano anche dall’estero per sentirmi cantare in quella Messa>>.
Quando ha smesso quei concerti?
<<L’ultimo l’ho tenuto due anni fa. Nel 2008. Avevo 98 anni>>.
<<<Ha mai conosciuto Toscanini?>>.
<<Lo incontrai una sola volta, nel 1954. Ero a Sirmione in vacanza, a Villa Cortine. Mentre passeggiavo per il parco vidi una bellissima signora che mi veniva incontro sorridendo: era Wally Toscanini. “Venga da mio padre”, mi disse, “vuole conoscerla”.. Rimasi confusa. Per Toscanini avevo una grande venerazione, e l’idea di incontrarlo così all’improvviso mi riempì di sgomento. Seguii la signora Wally e trovai Toscanini in compagnia di Ghiringhelli e del dottor Oldani. Mi salutò con grande cordialità. “Venga con noi”, mi disse. Mi affiancai a lui e continuammo a passeggiare per tre ore. Quello che ascoltai in quelle tre ore, non potrei mai riferirlo. I giudizi di Toscanini su cantanti e musicisti allora famosisissimi erano terribili: giudicava e stroncava senza pietà. Ne fui come atterrita, ma in seguito dovetti rendermi conto che certi suoi giudizi negativi su personaggi allora acclamati da tutti si rivelarono esatti. Dopo tre ore andammo in albergo. Toscanini mi disse: “Resti ancora”. Nella hall continuò a parlarmi, senza testimoni. Io ascoltavo senza dire niente. Prima di salutarlo gli dissi: “Maestro, la ringrazio di questo grande dono, di avermi voluto vicino per un intero pomeriggio. Non lo dimenticherò mai”. Lui si alzò e mi guardò. Il suo volto cambiò espressione. Quei suoi occhi sempre irritati diventarono dolcissimi. Forse si rese conto che in tutto il tempo non avevo mai detto una parola, non avevo chiesto niente, non avevo parlato della mia attività artistica. Aprì le labbra per dirmi qualche cosa, ma poi si riprese, mi fece una carezza sulla guancia e se ne andò. Fu un incontro strano, ma lo ricordo come uno dei più importanti della mia vita>>.
<<E la Callas?>>.
<<Mai conosciuta, mai incontrata. Anche se tra noi ci fu un certo legame, sia pure a distanza. Nel 1952 e 1953 io feci molte recite di Traviata e la Callas venne ad ascoltarmi parecchie volte. Nel 1954 venni scritturata dall’Arena di Verona per Mefistofele e Turandot. Quando stavamo per iniziare le prove i dirigenti del teatro mi chiamarono e mi dissero che era sorto un ostacolo. “Dal momento che la Callas abita a Verona”, mi dissero “siamo, in un certo senso, obbligati a farle scegliere l’opera che desidera e lei ha scelto Mefistofele. Le abbiamo detto che c’è già un contratto con lei, ma ha risposto che non gliene importa niente, vuole fare Mefistofele”. Erano contrariati. Io riposo: “Non preoccupatevi. Sono pronta a restituirvi il contratto”. “No” dissero “faremo due compagnie, una con lei e una con la Callas”. E così fu fatto. La Callas però disse che la prima voleva farla lei. “Va benissimo”, dissi io. Ma poi un temporale fece interrompere l’opera dopo il primo atto. Così la prima vera fu la mia ed ebbi un successo strepitoso. La Callas se la prese a morte. Ma, a me non disse mai niente. In fondo so che mi stimava. Di Stefano mi disse che nel 1972, quando lui voleva che riprendesse a cantare, lei disse: “Ci sarebbe una sola persona al mondo che potrebbe aiutarmi a riacquistare la voce: Magda Olivero. Ma credo che ormai sia troppo tardi”. Era una grandissima professionista. Io ho avuto per lei una profonda ammirazione, sempre>>.

Renzo Allegri
renzo@editorialegliolmi.it

 

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