Mafia, razzismo e crisi della democrazia in Italia
In Italia il potere, nelle sue forme più ambigue e pericolose, ha sostituito la forza della democrazia. Politica, informazione, cultura, educazione sono strettamente sotto controllo e la libertà di espressione, ormai, è solo apparente. Nonostante l’impegno di alcuni magistrati coraggiosi e dell’attivismo, le mafie sono sempre più forti e diffuse, non solo nel sud, ma in tutto il territorio. Durante la crisi, il crimine organizzato ha acquisito centinaia di imprese in difficoltà e, approfittando del condono (denominato “scudo fiscale”) irresponsabilmente concesso dal governo, ha reintrodotto in Italia miliardi di euro provenienti da affari illeciti. Le leggi a favore delle mafie, come la soppressione delle intercettazioni telefoniche, hanno consentito alle cosche di crescere, fino a toccare un “fatturato” record di circa 200 miliardi di euro nel 2009. Anziché colpire Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra, la recente legge sulla sicurezza (il famigerato “pacchetto sicurezza”) è stata scritta e approvata nella forma di una legge razziale che criminalizza e perseguita Rom, profughi e stranieri poveri, escludendoli dal mercato del lavoro e mettendoli in molti casi nelle mani delle cosche. L’Italia ha anche avuto (e ha ancora) i suoi eroi, come i magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e i loro eredi. Paolo Borsellino, prima di essere assassinato a Palermo dalla mafia e da altri poteri occulti, nel 1992, indicò alla politica l’unica via per combattere le collusioni mafiose: “Quando su personalità pubbliche vi sono anche solo sospetti di vicinanza con la criminalità organizzata, è necessario fare piazza pulita”. L’Italia, però, non ha ascoltato le parole del giudice anti-mafia. Fino a che non saranno celebrati i processi, nessuno può affermare che il senatore Dell’Utri, il primo ministro Berlusconi, il presidente del Senato Schifani, il ministro della Giustizia Alfano, il senatore Vizzini (componente della Commissione Antimafia!) e le decine di parlamentari i cui nomi appaiono negli atti di processi contro il crimine organizzato (prevalentemente, nelle dichiarazioni dei pentiti) abbiano commesso il benché minimo reato. Quando però le “voci” che riguardano, per esempio, Berlusconi e Dell’Utri, provengono da magistrati di ineccepibile integrità come lo stesso Paolo Borsellino ( intervista del 21/5/1992: http://www.youtube.com/watch?v=WeGtZbtMamU ) e quindi da testimoni e collaboratori di giustizia come Giovanni Brusca, Gaspare Spatuzza, Massimo Ciancimino, non si può evitare di pensare ancora ai coraggiosi suggerimenti dello stesso Borsellino. Invece niente: grazie ai rapporti stretti fra potere e informazione, è in atto in Italia una campagna di delegittimazione dei magistrati che combattono la corruzione, dei politici che da anni dimostrano un impegno serio e importante contro le mafie, come gli ex magistrati Antonio Di Pietro e Luigi De Magistris, dei collaboratori di giustizia, che rappresentano uno dei principali ed efficaci strumenti di lotta contro la criminalità organizzata. Nel contempo, la politica fa quadrato intorno ai sospettati e si dedica a riabilitare figura di politici del passato, legati a momenti foschi della recente Storia d’Italia, come Bettino Craxi, condannato per corruzione nel 1996 e nel 1999. In questa situazione, dominata da poteri così forti e privi di scrupoli da non lasciare intravvedere alcuno spiraglio di speranza in un cambiamento, anche l’impegno degli attivisti e dei sostenitori della democrazia e della civiltà dei Diritti Umani diventa ogni giorno più difficile e pericoloso.
Nella foto, il magistrato eroe Paolo Borsellino
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