Mac Donald’s lascia la Bolivia
Il mio amico R. ha molta simpatia per i “punti” Mac Donald’s perché con pochi spiccioli, mangi e bevi e puoi chiacchierare, aspettare qualcuno…. comunque stare seduto e d’inverno anche al caldo e farti i fatti tuoi!
I turisti che si recheranno in Bolivia, invece, non potranno più mangiare un “Big Mac” o “Chicken non so che cosa” con classica bustina di patatine: infatti la catena di fast food più famosa e più diffusa nel mondo chiude, dopo 14 anni, i suoi otto punti vendita. Certo Mac Donald’s non fallirà per questo, come non è fallita quando ha chiuso in Iran e in Islanda, ma è interessante cercare di capire come mai nonostante anni di campagne pubblicitarie martellanti non si sia mai “inserita” nella società andina. I suoi prodotti sono stati ignorati, sono risultati indifferenti ad un intero popolo. Forse perché da quella parte del mondo sono ancora molto legati alla loro cultura e tradizioni per non omologarsi ad una “simpatia” globale?
Come ha scritto qualcuno probabilmente l’ideologia del fast-food è in antitesi con la cultura culinaria boliviana, dove la preparazione del cibo è “tempo”, “condivisione”, importanti tanto quando l’atto del mangiare, come del resto avviene in molte altre culture.
Forse c’è anche lo zampino della “solita” Greenpeace, di Friend of the Earth e di altre associazioni ambientaliste che accusano Mac Donald’s di essere tra i principali responsabili della distruzione della foresta Amazzonica, sia per il disboscamento realizzato per fare spazio agli allevamenti bovini che per le tonnellate di imballaggi (packaging) in cui sono avvolti panini e patatine. Secondo un’inchiesta di Greenpeace “Contrabbandare gli OGM di nascosto”, Mac Donald’s utilizzerebbe Organismi Modificati Geneticamente (OGM) nei “McNugget’s” (non chiedetemi di che si tratta!), che farebbero risalire ai laboratori della famigerata Monsanto USA, che coltiva soia OGM destinata ai mercati europei proprio in Amazzonia. Quindi costi di produzione minori, sfruttamento incontrollato di risorse naturali uguale maggiore guadagno. E non importa che ormai sociologi, educatori, nutrizionisti, associazioni ambientaliste e di difesa dei diritti umani, accusino la multinazionale di politiche scorrette dal punto di vista etico, sociale, ambientale e dicano che i suoi prodotti “non fanno bene alla salute” .
McDonald’s sta rispondendo con una vera e propria conversione verde. Negli Usa, già tre anni fa, è stato aperto in Nord Carolina, il primo fast-food “verde” della catena. Parcheggio con torrette per ricaricare le auto elettriche, struttura progettata in modo da illuminare il locale soprattutto con la luce solare, uso di materiali ecologici e riciclati. In Inghilterra, ha iniziato a “convertire” i suoi furgoni utilizzando come carburante l’olio da cucina riciclato, l’85% del quale proveniente proprio dai 900 ristoranti presenti oltremanica. Una scelta simile a quella fatta nel 2010 anche da McDonald’s Italia, dove l’intento è anche quello di riciclare le grandi quantità di carta e PET gettati dai suoi clienti.
In Vietnam, invece, deve rispondere di violazione dei diritti umani : alla “Keyhinge Toys” di Da Nang City si lavora 9 o 10 ore al giorno dal lunedì alla domenica per fabbricare i giocattoli che vengono distribuiti negli “Happy Meals”. Nella denuncia del National Labour Committee, associazione americana per i diritti dei lavoratori, si parla di paga sotto il minimo salariale, condizioni di lavoro pietose e 220 operaie rimaste intossicate dall’acetone. Morale della storia: caro mio amico R. per favore, trovati un bar dove stare seduto al caldo e aspettare qualcuno!
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